Porta Pia: cronaca di uno scontro mai capito

Quando Ezzedine spiegava i suoi salti mortali per prendere le scarpe a Natale ai suoi tre figli non scherzava. Lo diceva con un sorriso, in una casa costruita da solo e i suoi compagni nella estrema periferia di Roma. Ezzedine e tante altre storie in cambio del tetto partecipano attivamente alle assemblee e le iniziative dei Movimenti per la casa. È così, metti una firma in una lista, aspetti qualche settimana e poi occupi uno spazio finito nel limbo del cemento della Capitale. Uno spazio che “non è” di nessuno, immobile, senza finestre, ma che può diventare tuo. Basta che partecipi, basta che fai i turni ai picchetti, aiuti il vicino a sistemare la porta della cucina e sfili. Sfili come è successo sabato pomeriggio a Roma. Sfili perché il decreto Lupi con quell’articolo 5 mette fine alla regolarizzazione di ogni ricostruzione capitolina: «Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge». Quando Luca si ritrova precario a vita in base al nuovo Job Act di Renzi decide anche lui di sfilare. Così 30 mila persone si sono ritrovate due giorni fa nella Capitale. Uniti, perché quello che si stabilisce a suon di decreti va avanti, senza loro.

Manifestazione per la casa - Scontri con la Polizia

IL CORTEO CHE PARTE TRANQUILLO – Fuori da tutto, dai sogni dal diritto al voto, dall’avere un medico. La “residenza legale” è inoltre un requisito utile per poter ottenere la cittadinaza italiana. E allora che si fa? Ci si organizza e si manifesta con un corteo che stavolta è grosso. No Tav, No Muos, movimenti da più parti d’Italia, centri sociali. Pullman e perquisizioni prima di partire da Porta Pia, da quel luogo che è diventato una campanella d’allarme di un malessere che raduna una parte di questo Paese. Il corteo aveva un percorso stabilito: aprire e chiudere sotto il Monumento dei caduti. E come tutti i cortei è sfilato tranquillo fino all’arrivo a piazza Barberini: quando parte della fiumana ha “deviato” al ministero del Welfare.

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(FotoLaPresse)

BLU BLOC E MANGANELLI AL CONTRARIO – Rabbia? Dare un segnale? La frangia più dura della manifestazione ha cambiato colore. Dai Black bloc si è passati ai Blu Bloc. A piazza Barberini, in coda al corteo dei Movimenti per il diritto all’abitare, persone con sopra delle felpe nere hanno indossato impermeabili blu e k-way, alzandosi il cappuccio e coprendosi il volto con dei passamontagna. Uomini, donne e un solo obiettivo: puntare dritti alla sede in via Veneto. Blu come i poliziotti. Il nome è stato nato in occasione del G20 di Toronto, nel 2010, quando gli anarchici hanno iniziato a chiamare blu-bloc i poliziotti dei reparti antisommossa canadesi che usarono metodi duri per fermare i black-bloc. Una divisa, una provocazione, verso le forze dell’ordine che presidiavano il corteo. Lanci di bottiglie, petardi, bombe carta. La follia si scatena in venti minuti. Una manciata di attesa prima delle cariche. E poi? E poi la fuga, sfilandosi i k-way e disseminandoli lungo via del Tritone. Peccato però che davanti al ministero c’erano anche altri manifestanti. Così, quando i botti partono, tana libera tutti. Donne, passeggini, ragazzi, vengono travolti nella ressa. Si cade, arrivano i colpi e l’aria dei fumogeni non fa più respirare.

E partono i manganelli… anche al contrario.

 

C’è chi si copre la testa a terra, chi corre e bussa alle vetrine dei negozi per entrare. Molti hanno preferito chiudere: «Noi avevamo chiuso ma davanti al nostro bar abbiamo visto la parte pacifica del corteo composta da donne con passeggini e bambini travolta dalla folla che veniva caricata». Queste le parole dei camerieri del Pepy’s, bar di piazza Barberini all’Adnkronos. «C’era chi piangeva – racconta Ivan – persone terrorizzate che cercavano rifugio. È stato il panico». Nessun riparo, nessun anfratto per sfilarsi dalle cariche. Bisogna solo scendere la via e ricompattarsi più giù per arrivare alla fine della manifestazione.

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DOPO IL BILANCIO IL NULLA – Quattordici poliziotti contusi, ferito un cronista dell’Agi e sette manifestanti. Uno di loro, venezuelano, è grave. Ha perso la mano per l’esplosione di un botto. L’ambulanza ha aspettato diversi minuti prima di raggiungerlo. Sei i fermati dalle forze dell’ordine. L’alba di Porta Pia, dove una trentina di manifestanti si è accampata da due giorni, è amara. Ci si riunisce in assemblea, si parla di nuove mobilitazioni: la prossima è prevista per il primo maggio. Si leggono i titoli dei giornali con una Roma a “ferro e fuoco”. Intanto ci si chiede se mai si arriverà ad avere numeri identificativi sopra le divise dei corpi di polizia. Un disegno che per ora pare depositato solo in Senato (con prima firma Battista, un ex 5 Stelle) e alla Camera da parte del Pd.

 

Niente sulla storia di Ezzedine, nulla sul futuro di Luca. Niente che spieghi perché si è deciso di lanciare quel sasso, quell’uovo contro il portone di un dicastero. Nulla che spieghi, oltre alla rabbia e alla violenza, le storie di chi ieri mattina si è alzato, ha preso il suo bambino e l’ha portato a sfilare per le vie del centro. No, loro non ci sono. Soffocati dal fumo di quei lacrimogeni, zittiti dal rumore di quei botti.

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