La lunga storia della moschea di Milano

03/04/2014 di Maghdi Abo Abia

Nelle ultime settimane la città di Milano ha iniziato a guardare con estrema preoccupazione a quello che dovrebbe essere l’iter che porterà alla costruzione di una moschea per Expo 2015. Una volta assodato che non sarà possibile realizzare uno spazio definitivo entro la manifestazione a causa della ristrettezza dei tempi, resta il nodo su chi e con quali modalità dovrà provvedere alla nascita del luogo di culto.

Palazzo Marino
Palazzo Marino

A MILANO UNA MOSCHEA SERVE – Sgombriamo subito il campo da qualsiasi equivoco. La città ha bisogno di una moschea nella quale accogliere i fedeli musulmani oggi dispersi nei vari scantinati della città. Serve un posto alla luce del sole dove possa essere tramandata la dottrina senza creare discriminazioni tra i fedeli, liberi di praticare il loro credo senza dover necessariamente trovare luoghi di fortuna. E questo la città di Milano lo sa bene. L’argomento rappresentò uno dei punti più importanti della campagna elettorale del 2011 e fu proprio Giuliano Pisapia a spingere affinché il capoluogo lombardo disponesse di un luogo di culto destinato ai musulmani in quanto, come ricorda L’Occidentale, «la città deve saper offrire una soluzione che sappia durare nel tempo».

LA CAMPAGNA ELETTORALE DEL 2011 – L’allora vicesindaco della città, Riccardo De Corato, aveva chiuso invece la porta a qualsiasi soluzione in tal senso: «finché non ci sarà una normativa nazionale che disciplini i luoghi di culto islamici non ci sarà alcuna moschea». Le elezioni poi vennero vinte dall’esponente di centrosinistra e s’iniziò quindi a parlare di un luogo di culto ufficiale che andasse a sostituire quella che era stata la soluzione all’epoca provvisoria, ovvero quella dello spiazzo antistante il Palasharp. Ma qui nacquero i primi problemi. Lo scorso anno parlammo della scoperta, da parte di alcuni sostenitori della Lega Nord di un’erigenda moschea in via Maderna 15, zona Mecenate, da parte del gruppo turco Millî Görüş, fondato nel 1969 da Necmettin Erbakan, futuro primo ministro di Ankara ed ispirato all’idea di un islam politico da difendere di fronte al declino imposto dalla secolarizzazione occidentale.

Musulmani in preghiera alla moschea di Roma
Musulmani in preghiera alla moschea di Roma

I LAVORI DI VIA MADERNA – Il punto della questione non riguardava però le caratteristiche di Millî Görüş, associazione le cui basi sono in Germania e che raccoglie adepti anche in Francia, Paesi Bassi, Austria ed altri paesi per un totale di 500.000 seguaci. Non riguarda neanche il finanziamento esterno per la costruzione. No. Il tema importante in questo caso era relativo al fatto che l’autorizzazione alla costruzione di una moschea non venne dato da nessuno. Si parlò in quel caso di una semplice ristrutturazione. L’allora vicesindaco della città, Maria Grazia Guida, disse che non venne autorizzato alcun luogo di preghiera ed escluse la possibilità del cambio di destinazione d’uso dell’area. I lavori vennero bloccati e la storia si concluse piuttosto rapidamente, lasciando però degli strascichi pesanti.

IL RISPETTO DELLA LEGGE – I fedeli coinvolti nella realizzazione della moschea di Via Maderna avevano espresso il loro desiderio di poter ottenere un luogo di preghiera che non fosse uno scantinato. Stessa esigenza espressa da Abdel Hamid Shaari, presidente del centro culturale islamico di viale Jenner, che aveva approvato i lavori di via Maderna. Il Comune, comprendendo le ragioni delle persone interessate, ha però ricordato la necessità del rispetto delle leggi e s’impegnò contestualmente a concludere il proprio lavoro per la stesura dell’albo delle confessioni religiose. Un anno dopo la situazione è diventata ancora più complessa a causa dell’esistenza di numerose associazioni interessate alla costruzione di un luogo di preghiera, con il Comune attento a non commettere passi falsi.

IL PROGETTO CAIM – In questi ultimi mesi ha colpito in città l’attività del Caim, letteralmente «Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, Monza e Brianza» che il 18 aprile, secondo Repubblica.it, presenterà a Palazzo Marino un progetto per la rivalutazione dell’area del Palasharp per un valore di 10 milioni di euro. Il progetto prevede la realizzazione di un’area di quattromila metri quadri con ampie zone verdi e divisa in due: da un lato la zona della preghiera con tappeti, vaschette per le abluzioni, scarpiere e lampadari tipici a gocce di cristallo, dall’altro un’area aperta al pubblico anche fuori dagli orari di preghiera, con biblioteca, teatro, sala conferenze, zona bar ristorante ed un cortile concepito per favorire la meditazione.

MOSCHEA SI, PREGO – Ma. Il progetto prevede la presenza di cupole e minareto, ma non è detto che venga accordato. Il coordinatore del Caim, Davide Piccardo, sa che potrebbero esserci problemi e che per questo stanno trattando con l’amministrazione sui dettagli e sulle linee generali, anche se «Per dirsi tale, una moschea deve avere gli aspetti architettonici tipici, cioè la cupola e il minareto». Per rafforzare quello che è ritenuto un diritto, continua il Redattore Sociale, lo stesso Caim ha dato vita ad una campagna di comunicazione dal titolo #moscheasiprego. Yassine Baradai, coordinatore della campagna, ha spiegato che l’intenzione è quella di sollecitare il vicesindaco attuale, Ada Lucia De Cesaris, per rompere il muro creato alla politica. Insomma, l’obiettivo della campagna è quello di rivolgersi direttamente al Comune.

Giuliano Pisapia
Giuliano Pisapia

IL NO DEL COMUNE AL CAIM – Comune che però prende tempo. Palazzo Marino, per bocca della De Cesaris, ha specificato in maniera chiara quello che il suo obiettivo. Ovvero quello di avviare un

percorso che vuole e deve coinvolgere tutte le associazioni islamiche presenti sul territorio. Un percorso che ha al centro l’individuazione di uno o più luoghi di preghiera che rispondano alle esigenze della comunità islamica e siano in grado di dare la giusta accoglienza a tutti coloro che visiteranno Milano in occasione di Expo. Un percorso che ripeto deve tener conto di tutte le istanze, che non sono solo quelle espresse dal Caim

Chiaro e semplice. Ma per essere ancora più precisi c’è un’altra frase, sempre del vicesindaco, ripresa da Tempi, che rivolgendosi direttamente al Caim ha detto:

«se insiste nel voler perseguire una strada autonoma non potranno essere messe a disposizione aree pubbliche»

Le parole della De Cesaris suonano ancora più chiare se confrontate con quanto detto da Repubblica. Fra i dirigenti del Caim ci sono diversi giovani islamici candidati alle elezioni in varie liste di centrosinistra o collaboratori del Comune come la portavoce Rassmea Salah, la scrittrice Sumaya Abdel Quader e l’avvocato civilista Reas Syed.

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