Justice, gli avvocati come non li avete mai visti..in Tv

Non è il solito telefilm con avvocati bravi, buoni, belli e generosi. E’ Justice. Sembra quasi di stare davvero in tribunale

Shakespeare era stato drastico: “Per prima cosa uccideremo tutti gli avvocati.” Per fortuna che nessuno, nei secoli avvenire, ha seguito il consiglio: perché altrimenti metà dei palinsesti televisivi non si saprebbe come riempirli. Ormai gran parte della programmazione tv si svolge in set che o sono studi medici o sono aule di tribunale. Ultimo prodotto di legal drama è Justice, serie americana che in patria ha avuto scarsa fortuna, tanto che ne sono stati prodotti solo 13 episodi, ma che invece ha molti lati interessanti. Ijustice1 legal drama americani sono in genere viziati da un piccolo difetto di fondo: dipingono gli avvocati come dei buoni samaritani. Sì, certo, una punta di cattiveria ce la devono avere, questi signori che passano la vita a cercare cavilli; ma in fondo in fondo persino i più perfidi sono dei bravi ragazzi. Quindi, se sono procuratori, è ovvio che stanno indefessamente dalla parte della legge, e sono tutto uno spreco di energia per consegnare alla giustizia – e possibilmente, dato che siamo in America, al braccio della morte – i cattivi; se sono invece avvocati e basta, eccoli lì pronti a difendere i loro clienti a spada tratta, ma, beninteso, i clienti che in fondo in fondo sanno innocenti come agnellini: se sembrano colpevoli è colpa della apparenze. Se sono penalisti, come in The Practise, cono ricchi ma tormentati da sensi di colpa; se sono civilisti, e qui l’unico precedente è Ally Mac Beal e il suo studio di squinternati, sono, appunto, simpaticamente squinternati, e quindi gli si può perdonare di arricchirsi sfacciatamente con cause al limite dell’assurdo, o ben oltre quel limite.

AVVOCATI FIGLI DI BUONA DONNA – Ecco, in Justice si cambia, almeno parzialmente, musica. Perché qui lo studio legale c’è, ed è uno di quelli potenti; il socio principale, poi, Ron Turk, è un tale con un pelo sullo stomaco da poterci fare un tappeto; un cinico, dal carattere spregiudicato, ambizioso, menefreghista quel tanto che basta per disinteressarsi completamente se il cliente è innocente o meno, e nemmeno aprticolarmente dotato si sensibilità o senso dell’umorismo. Avete presente Perry Mason? Ecco, stiamo da tutt’altra parte. Turk ama i soldi, e anche il potere; sull’innocenza dei suoi clienti non si fa illusioni, ed è pronto a manipolare il sistema quel tanto che serve a vincere. Mica per la giustizia del titolo, no: per vincere e basta, dato che la sua somma felicità risiede dell’ottenere per il cliente un indennizzo miliardario o una assoluzione e per sé un mucchio di quattrini e la soddisfazione di poter umiliare l’avvocato della controparte e farsi intervistare sul canale giusto. É un figlio di buona donna fatto e finito, insomma, e non a caso per interpretarlo è stato scelto quella faccia di tolla di Victor Garber, che ha passato gli justice77ultimi anni a fare l’agente doppio e triplogiochista in Alias, quindi figuriamoci se si sconcerta per un paio di saltafossi in camera caritatis. I suoi giovani soci ecco, loro sì qualche illusione pia ancora la mostrano: ma, si lascia intendere, dopo qualche anno alla sua scuola la perderanno, non v’è dubbio.

LA GIUSTIZIA PUO’ ATTENDERE – Gli avvocati in aula ci vanno, ma meno dei colleghi. La gran parte del loro lavoro è prima, a maneggiare i media, capire con sondaggi mirati come far apparire i loro clienti simpatici alle giurie. Se ne fregano che poi nella vita lo siano veramente, anzi, spesso sono i primi a disprezzarli, quei clienti: però pagano, e questo basta, perché, come dice Ron, “l’America ha il miglior sistema legale del mondo se ti puoi permettere un buon avvocato“. Hanno al loro soldo consulenti di immagine, esperti di comunicazione: il cliente lo creano e lo rimodellano con lo stesso spregiudicato marketing con cui i produttori musicali creano le pop star. La verità e la giustizia sono due concetti astratti, che non interessano: tanto è vero che la soluzione vera del caso viene data allo spettatore in un siparietto finale, staccato da tutto il resto, e che quasi mai corrisponde con il responso ottenuto in aula, o, se coincide, accade per i motivi sbagliati.

CINICO? NO, REALISTA – È un telefilm cinico, insomma, di un cinismo cattivo che quasi sfiora i vertici della prima serie del Dottor House, anche se è scritto un po’ peggio e i personaggi sono meno incisivi. Ma molto realistici. Così realistici che ti viene da pregare, dovessi mai avere delle rogne con la giustizia, di poterti permettere degli avvocati così.

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