I mercati ambulanti al tempo della crisi

Nonostante le rassicurazioni politiche su una prossima ripresa dell’Italia che dovrebbe così abbandonare lo stato di crisi, la situazione delle piccole attività commerciali del nostro Paese appare sempre più difficile ed oscura. I negozi continuano a chiudere mentre le difficoltà burocratiche aumentano. e questo fenomeno ha iniziato ad interessare anche i mercati ambulanti, fin qui in controtendenza rispetto alle altre attività.

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I NUMERI DEL 2014 – Secondo i dati rilevati da Confesercenti e relativi ai primi due mesi del 2014, il commercio su area pubblica, ovvero il mercato ambulante, ha registrato una perdita di 529 aziende. Una cifra che va inserita in un contesto preoccupante fatto di 29.136 cessioni d’attività, con un saldo passivo di 17.723 aziende perse per strada, visto che nello stesso periodo ne sono state aperte 11.413, il dato più basso degli ultimi 40 anni. Nello specifico, per quanto riguarda il commercio su area pubblica, si sono avute 1.979 aperture, appesantite da 2.508 chiusure, per un saldo negativo appunto di 529 esercizi. Segno che qualcosa, in negativo, è cambiato.

AUMENTANO I CLIENTI AD AREZZO – E dire che le potenzialità possono essere altissime. La Nazione ci presenta l’esperienza di Arezzo, località in cui sono sempre di più le persone che si recano al mercato per fare la spesa alla ricerca dell’offerta giusta e del pezzo migliore, nella speranza di riuscire a sfruttare la concorrenza con la grande distribuzione. Secondo Rodolfo Raffaelli, presidente provinciale degli ambulanti di Confcommercio, aumenta il tenore sociale delle persone che affollano i mercati della città Toscana, con il risultato che se una volta compravano solo anziani, pensionati e persone appartenenti al ceto medio-basso, da tre anni a questa parte manca la fascia di popolazione con minore potere d’acquisto.

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LE DIFFICOLTÀ DI CESENA – Inoltre, ha continuato Raffaelli, le bancarelle che propongono alimentari riescono a resistere rispetto alle altre che offrono abbigliamento o prodotti non alimentari. Per questo motivo si è cercato un equilibrio tra abbassamento dei prezzi ed una buona qualità. Una soluzione importante ma che sembra non riesca ad essere praticata in altre parti d’Italia. A Cesena, ad esempio, si registra un calo negli affari nell’ordine del 40 per cento, con alcune attività che rimettono al Comune la licenza in quanto impossibilitati a venderla per via della stagnazione del mercato. Alverio Andreoli, presidente Fiva Confcommerico Cesena ed Emilia-Romagna, ha aggiunto che stanno aumentando i commercianti stranieri.

IN CALO IL FATTURATO A PESARO – Presenza certificata in aumento anche dall’analisi di Confesercenti, che ha spiegato come invece stiano svanendo le imprese a conduzione femminile e gestiti da imprenditori over 50. E secondo Andreoli ormai gli stranieri hanno raggiunto quota 40 per cento dei 250 posteggi garantiti dal Comune, per un ricavo di 500.000 euro l’anno per occupazione di suolo pubblico. Situazione simile nella vicina Pesaro. Come riporta Vivipesaro, il fatturato da queste parti è calato del 30 per cento rispetto al 2013. E martedì 11 marzo, in una giornata di bel tempo, è stata registrata l’assenza di 80 banchi mentre a causa di un contrasto con il Comune sul costo dell’occupazione dello spazio pubblico, sono state restituite 25 licenze mentre 15 sono congelate fino a giugno.

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LE NOVITÀ DI CREMONA – In questo caso si registra l’assenza di giro anche a causa della mancanza di una superficie adeguata che consenta un giro efficace. Si, perché se non ci sono clienti non si vende, e se non c’è possibilità di creare uno struscio, non si vende. In questo senso Mondopadano ci parla della decisione di Cremona di coprire con i banchi del mercato aree rimaste libere da negozi, svaniti a causa della congiuntura economica sfavorevole, con la riduzione del mercato centrale di Piazza Fiume, gestito dal Comune, così da venire incontro alle esigenze del pubblico. Perché del resto se c’è possibilità di far girare l’economia e creare opportunità  per il commercio, allora è possibile vendere e fare affari. Ma ovviamente tutto dipende dalla qualità del mercato.

MILANO SORRIDE – A Milano, come spiega il Sole 24 Ore, nel primo semestre del 2013 si è addirittura assistito ad un aumento degli ambulanti. Nello specifico, i banchi ad aver registrato un saldo positivo sono stati quelli di chincaglieria e bigiotteria (+120), tessuti e abbigliamento (+39), ortofrutta (+15). Erica Corti, membro della giunta della Camera di Commercio, ha spiegato che la crescita del settore ambulante «da un lato richiede un investimento ridotto rispetto ad altri per aprire; dall’altro la crisi avvantaggia gli acquisti ai mercatini, che permettono alle famiglie di risparmiare». Ma le cose non vanno bene nella confinante San Donato, dove gli ambulanti locali lamentano perdite del 30 per cento rispetto allo scorso anno, con una perdita nell’ultimo triennio del 50 per cento del fatturato.

Mercati a Milano

IL NODO HOBBISTI IN EMILIA ROMAGNA – Il Fatto Quotidiano ci propone poi un altro spunto di discussione, già proposto dall’Anva Emilia-Romagna, relativo all’esercizio nei mercati della Regione ed in quelli di tutta Italia dei cosiddetti «hobbisti». Nei mercati ci sono due tipi di venditori, quelli regolari che pagano le tasse e sono dotati di licenza e quelli che lavorano in nero, gli hobbisti. Il loro nome starebbe ad indicare persone che mettono in vendita qualcosa di proprio una volta tanto. Invece in realtà si tratta di persone che allestiscono un banco al fianco di quelli regolari lavorando in nero. Un venditore ambulante con licenza spende circa 10.000 euro l’anno, a cui vanno sommati i costi di occupazione di suolo pubblico, differenti città per città.

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