Cuneo fiscale: a cosa serve la prima riforma della Renzinomics

Il cuneo fiscale, questa astrusa locuzione, è di nuovo diventata di uso comune sui mezzi di informazione dopo esser entrata nel programma politico del nuovo Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Ma cosa è il cuneo fiscale e perché dobbiamo abbassarlo?

CUNEO FISCALE: COS’E’ E A COSA SERVE – Il cuneo fiscale è la somma delle imposte (ad esempio IRPEF) e delle detrazioni (contributi INPS, INAIL, eccetera) che gravano sul costo del lavoro. Il loro importo ha ovviamente un riflesso sulla competitività delle aziende italiane sui mercati internazionali, in quanto ovviamente ha ricadute sui costi di produzione e quindi sui prezzi dei beni prodotti in Italia. Che poi gli stessi che affermano questo, neghino che una riduzione dei prezzi dei beni all’estero tramite svalutazione non avrebbe alcun effetto, è un mistero glorioso, ma si sa, l’aritmetica è una opinione.

RENZI

L’AUMENTO DEL COSTO DEL LAVORO – Uno dei problemi del nostro paese è infatti che nel corso degli ultimi anni ha avuto un aumento costante del costo del lavoro rispetto alla sua produttività in confronto ai paesi “core” dell’Eurozona, specialmente la Germania, in parte per le differenze di inflazione, da noi leggermente superiore, in parte per altri motivi sui quali c’è ampia discussione, ma sicuramente una parte non ininfluente è legata al modello di sviluppo basato su terziario commerciale e costruzioni, di cui abbiamo già parlato, al posto del manifatturiero che nel breve, se non di alta qualità, aveva una redditività nettamente inferiore.

ABBASSARE IL CUNEO PER RECUPERARE COMPETITIVITA’? – L’obiettivo del governo Renzi sembra quindi quello di abbassare il cuneo per recuperare competitività, specie nel settore manifatturiero, attraverso una riduzione dei costi per le imprese, ed è già un passo avanti notevole di presa di coscienza dei problemi italiani. Ma qui iniziano i problemi. Come dicevamo sopra, il cuneo non sono detrazioni messe lì a casaccio tanto per fare, ma finanziano parti importanti sia della spesa pubblica statale, sia del welfare, che proprio agli stessi lavoratori si rivolge. Infatti visto in relazione ai nostri partner europei possiamo vedere come sia la Germania (sempre presa a modello) sia la Francia abbiano dimensioni del cuneo fiscale anche più pesanti della nostra.

CUNEO FISCALE BUSTA PAGA

Dobbiamo tenere conto che la gran parte del cuneo fiscale, il 70% circa, è relativa ai contributi sociali, cioè ai versamenti che il lavoratore fa verso l’INPS per “costruire” nel tempo la sua pensione, sia verso l’INAIL per l’assicurazione sugli infortuni e le invalidità da lavoro.

E LA COPERTURA DELLA RIDUZIONE? – Il taglio, visto che serve a far diminuire il costo alle imprese, dovrebbe a logica andare tutto o in gran parte a favore dei datori di lavoro e quindi capite bene che si pone il problema della copertura di una sua eventuale riduzione. Avendo ancora in essere per alcuni decenni un sistema a contribuzione mista, in quanto molti pensionati odierni percepiscono una pensione legata alla loro retribuzione e non ai contributi versati, una riduzione dei versamenti all’INPS provocherebbe un allargamento del deficit del sistema pensionistico che dovrebbe essere, o coperto dallo Stato, o finanziato attraverso il taglio drastico delle prestazioni. E per gli amanti, o meglio odianti, del cattivo pensionato sfruttatore dei giovani, è purtroppo evidente, numeri alla mano, che qualsiasi intervento di importo significativo in tal senso andrebbe a colpire anche le pensioni medio-basse.

IL TAGLIO DEL 10% DEL CUNEO FISCALE – In uno studio presentato su La Voce un taglio nell’ordine del 10% del cuneo, come ipotizzato dallo stesso Renzi, solo per i lavoratori sotto i 40 anni costerebbe sui 27,5 miliardi, se volessimo invece estenderlo a tutti i lavoratori, cosa che avrebbe una logica anche per evitare fenomeni di espulsione dei lavoratori più anziani diventati meno “convenienti”, costerebbe sui 66 miliardi. Le pensioni oltre i 3000 euro erogate dall’INPS sono appena 35 miliardi. Capite che, anche dimezzandole o portandole tutte al contributivo, resterebbero comunque non dei buchi, ma delle voragini. Un discorso più serio sarebbe adeguare tutte le pensioni ai contributi versati, mettendo un limite minimo sotto al quale debba intervenire lo Stato ad integrare la somma erogata. Sarebbe una riforma sicuramente di giustizia, ma ha tempi non brevi e sicuramente con dei risparmi che difficilmente si scosterebbero molto dal precedente calcolo a spanne a meno di non pensare di erogare pensioni da fame.

cuneo fiscale busta paga 2

ABBASSARE I CONTRIBUTI AI GIOVANI? – Abbassare i contributi sui lavoratori più giovani, come ipotizzato dall’articolo in questione, sembrerebbe logico, se già non ci fossero notevoli problemi di copertura previdenziale per queste persone che, avendo avuto spesso periodi di inattività fra i vari lavori precari con coperture previdenziali fra l’altro ridotte, hanno già tassi di sostituzione (cioè la percentuale di pensione relativa all’ultimo stipendio percepito) assolutamente insufficienti ad una vita decorosa e che quindi alla fine, a meno di non rischiare rivoluzioni sociali, andrebbero in parte comunque a carico della fiscalità generale dello Stato. Tante altre soluzioni non ci sono, certo ci si può illudere di avere chissà quali risultati dalla spending review e dai tagli, quando le esperienze estere dimostrano che una vera spending review spesso necessiti di investimenti iniziali addirittura superiori, perché si inizia a risparmiare davvero solo dopo avere riorganizzato i servizi (come sperimentato dal governo conservatore Cameron in UK). Oppure la “geniale” idea di coprire parte di questa spesa vendendo beni dello Stato, cioè finanziare un flusso con dei fondi, come se ogni anno potessimo vendere quote dell’ENI o dell’Enel che poi ricrescono da sole la notte come l’edera e no, non facciamoci ridere dietro dal mondo pensando di vendere le caserme o altri immobili pubblici quando ci sono milioni di abitazioni civili invendute in Europa.

cuneo fiscale busta paga 1

SFORARE O NON SFORARE? – Certo, uno sforamento del deficit statale del 3%/PIL finalizzato a questa operazione sarebbe sensato, ma richiede l’autorizzazione di Bruxelles e, se pensate bene, vorrebbe dire che i nostri partner UE ci consentirebbero di indebitarci per fargli poi meglio concorrenza sul mercato. Un po’ come “furbamente” concedemmo noi alla Germania ai tempi delle prime riforme Hartz promosse da Schroeder (con Tremonti che si vantava pure). Se davvero Renzi riesce in questo miracolo, allora vorrà dire che esiste davvero un sentimento “fraterno” europeo che lui, da grande politico, è riuscito a stimolare. In caso contrario sarà solo un “dead man walking” come il povero Letta.

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