«Vi racconto cosa vuol dire essere la bulla di Bollate»

Botte tra ragazzi diventate spettacolo, riprese attraverso gli smartphone e poi postate in rete. «Internet è piena di filmati di ragazzi che si picchiano, sotto gli occhi di altri che guardano», hanno denunciato Le Iene. Non c’è soltanto il caso della bulla di Bollate, la ragazzina che ha picchiato la sua coetanea davanti agli occhi dei suoi amici. Il programma di Italia Uno ha mostrato diversi filmati simili, con tanto di risse, picchiatori e, a volte, urla di incitamento dei ragazzi che assistono alle scene. In tutte le scene mostrate c’è sempre una costate: «Due giovani che si picchiano, qualcuno che riprende e si gode lo show. Senza fermare la violenza. Anzi, fomentandola», ha aggiunto Luigi Pelazza delle Iene.

Le Iene cyberbullismo bulla

LE IENE E IL BULLISMO –  Le Iene hanno spiegato come filmati di questo genere siano sempre diffusi, grazie ai social network e alle testate che li rilanciano. Pelazza è andato a Bollate per ricostruire quanto accaduto, intervistando la ragazza colpevole di aver picchiato la coetanea e la madre: «L’unica cosa che posso dire è che mi vergogno di quanto successo. Il gesto di mia figlia non è giustificabile. Ne pagherà le conseguenze e io sono dispiaciuta», ha dichiarato il genitore. Ma non solo. La madre si è mostrata indignata per le «incitazioni dei ragazzini intorno»: «Invece che dividerli, hanno fomentato lei per continuare», ha spiegato. Anche perché «poteva finire peggio e nessuno ha fatto nulla».

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«Ma alla base del comportamento aggressivo della ragazzina potrebbe esserci una cattiva educazione della madre?», si è chiesto Pelazza. Secondo l’inviato è una possibilità, considerata anche la risposta data dalla donna quando racconta della sua reazione a un caso precedente: «Quando ho saputo che mia figlia aveva picchiato un’altra ragazza, innanzitutto le ha prese, tante». Scelta giusta? «Sfido qualunque madre, non gli avesse fatto capire l’errore che aveva commesso in quei dieci minuti». La madre ha continuato: «Sembra che mia figlia sia furiosa con il mondo intero. Si alza già con la rabbia dentro. Lei stessa mi ha chiesto aiuto per andare da qualcuno e siamo andati da una psicologa», ha aggiunto la madre della ragazza. Quest’ultima spiega che se non fosse alla fine intervenuto qualcuno, sarebbe andata oltre: «Avevo una rabbia dentro, non mi sarei fermata». I ragazzini che riprendevano con lo smartphone, come fosse uno spettacolo? «Tutti volevano vedere questo. Quando dei ragazzi sanno che c’è una rissa fuori da scuola, sfido qualsiasi ragazzo che sarebbe andato lì e a non mettersi in mezzo». Ha poi spiegato di essersi rivista nel filmato, pubblicato in rete e poi rilanciato da testate on line e sui social. «Vedendolo direi quella ragazza ha problemi. Perché si è accanita contro una che nemmeno reagisce?», ha continuato. Ma ha continuato a giustificarsi: «Se uno non sa la storia di quanto è successo prima non deve parlare».

In pratica, ha denunciato l’inviato delle Iene, «nella sua testa resta l’idea che è possibile picchiare qualcuno quando “sbaglia”. In fondo, non è quello che aveva fatto la madre con lei?», ha continuato. E se accadesse un’altra rissa? «Aspetterei soltanto che sia lei ad iniziare. Dopo è soltanto difesa», ha affermato la ragazza. L’unico problema per la ragazza sembra essere chi ha iniziato per prima. Come se tutto si potesse risolvere con la violenza. «Nemmeno sembra sfiorata dalla possibilità di discutere e trovare soluzioni in un altro modo». Non mancano le giustificazioni: «Tutte le ragazze si picchiano quando vengono insultate». Per la madre, adesso servirebbero le scuse: «Non c’è cosa migliore di saper chiedere scusa quando si commette un errore». Ma, spiegano le Iene, «al di là delle scuse, necessarie, come si deve comportare un genitore che viene a sapere che il proprio figlio ha picchiato un coetaneo?», si interroga Pelazza. Interviene Giuliana Barbieri, una psicologa: «Non si deve aggredire. Un conto è difendersi, mai però si deve utilizzare la violenza. Questo va sempre fermato, fin da quando i bambini sono piccoli». E le madri? Devono utilizzare le parole per condannare l’uso della violenza. Così da permettere ai figli di usare gli stessi strumenti. Perché nessuno dei ragazzi è intervenuto? Credo che non si aspettino che la situazione degeneri. Molti non intervengono perché non stanno realizzando, altri perché aspettano che finisca, o perché questa aggressività fa molto paura». Hanno contribuito alla violenza restando a guardare quanto accaduto? «Certamente il fatto che il gruppo la sostenesse, ha favorito il fatto che la ragazza andasse avanti», ha continuato la psicologa.

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LA LETTERA DI LAURA BOLDRINI SUL CYBERBULLISMO – Sul Corriere della Sera è stata invece pubblicata una lettera di Laura Boldrini, che ha invitato – anche alla luce del caso del suicidio della ragazza di Cittadella, vittima di insulti ricevuti in rete su Ask.fm, ndr – a cercare soluzione per combattere la diffusione del cyberbullismo:

«Abbiamo idea di quale tempesta di odio si scateni, e di come sia duro reggerne l’urto? Il cyberbullismo — dice una recente ricerca condotta da Ipsos per Save the Children — è il pericolo che spaventa di più gli adolescenti italiani. Il 72 per cento degli interpellati lo considera la principale minaccia alla propria vita, più della droga o delle molestie da parte degli adulti. E allora arrivo alla domanda che più mi sta a cuore: possiamo continuare a cavarcela con la commozione di un giorno, e poi dimenticarcene? La rete ha uno straordinario valore di emancipazione, di crescita culturale, di comunicazione. E so bene che l’anonimato sul web rappresenta — nei Paesi schiacciati da regimi dittatoriali — un riparo prezioso per coloro che si battono in difesa dei diritti umani. Ma chiedere un uso responsabile della rete, rispettoso anche dei giovani e dei giovanissimi che la frequentano, non ha nulla a che vedere con la «voglia di bavaglio», che mi troverà sempre contraria. Significa invece sentire la richiesta d’aiuto che viene dai nostri ragazzi, senza voltar loro le spalle».

Per la presidente della Camera le risposte non sono facili da trovare: «Vanno cercate ascoltando i gestori dei social media, i blogger, l’Autorità che tutela la privacy, e coinvolgendo il mondo della scuola e le famiglie. Ma, per complesse che siano queste risposte, non possiamo più tardare nell’individuarle», ha concluso la terza carica dello Stato. In rete più volte però è stato ribadito come non servano misure speciali per il web: le leggi valgono allo stesso modo così come nella “vita reale” ed esistono già. Potrebbe essere già utile cominciare ad applicarle.

 

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