L’occasione persa del bike-sharing

10/02/2014 di Maghdi Abo Abia

Negli ultimi anni le città italiane, e non solo, hanno investito denaro ed energie in metodi alternativi alla mobilità privata, nella speranza di liberare i centri urbani dall’assedio delle autovetture incentivando i cittadini a muoversi con mezzi ecologici o usando i servizi pubblici. Ed uno degli strumenti sicuramente più interessanti è senza dubbio il bike-sharing, il servizio di condivisione biciclette, visto come un metodo ecologico ed economico per migliorare la mobilità privata.

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188 SERVIZI IN ITALIA – Come riportato da Movimento Lento, la mobilità su bicicletta sembra abbia avuto un incredibile incremento negli ultimi anni anche se il servizio, come vedremo, sembra non raggiungere gli standard europei. Ad oggi in Italia il bike-sharing è presente in 188 città, con una prevalenza al nord ed al centro rispetto al sud. Le tipologie di servizio sono due, a chiave ed a scheda magnetica. Nel primo caso la bicicletta viene liberata da una chiave che la identifica e puo’ essere presa o restituita a qualsiasi orario, a patto di ritirarla e consegnarla nell’apposito alloggiamento. La chiave puo’ essere usata in città diverse ed in questo modo si garantisce un utilizzo più capillare.

LE DUE AZIENDE E L’ECCEZIONE DI MILANO – Il sistema a scheda magnetica, invece, appare utile nel caso di un utilizzo a breve periodo a causa della regolazione tariffaria a tempo. A differenza del servizio a chiave, in questo caso il mezzo può essere restituito ovunque, con il pagamento che viene effettuato con carta di credito o messaggio telefonico. Il risultato è però che il servizio viene diviso tra due aziende, la «C’entro in bici» per il sistema a chiave, presente in 102 località, e «Bicincittà», presente in 86 centri, per il sistema a scheda. L’eccezione è rappresentata da Milano, che ha un servizio sponsorizzato dalla società pubblicitaria americana «Clear channel». Ed è proprio a Milano che al momento esiste il servizio più grande del Paese.

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COME FUNZIONA BIKEMI – Come spiega il Comune di Milano, dal primo febbraio scorso le biciclette hanno raggiunto quota 3.010 mentre le stazioni attive nella cerchia urbana hanno raggiunto quota 173, con un’aggiunta di 53 stazioni grazie ad un investimento di tre milioni di euro proveniente da Area C, con l’obiettivo di arrivare a 200 stazioni entro i prossimi mesi. E BikeMi è l’esempio lampante del progetto di condivisione biciclette a breve periodo, visto che com’è specificato sul sito, il tempo massimo d’uso è di due ore ed è conveniente se usato in correlazione con la rete dei mezzi pubblici Atm. Numeri sicuramente di successo ma che dimostrano come spesso la mancata progettazione possa avere delle conseguenze nefaste sullo stress e la pazienza dei clienti.

MANCANO I POSTI PER LE BICI – Il Giornale nel 2012 commentava l’estensione del progetto Bikemi con favore ma faceva notare come la mancanza di un numero adeguato di rastrelliere in centro aveva fatto si che i clienti utilizzassero le biciclette dalla periferia per raggiungere il cuore della città ma che poi facessero fatica a trovare un parcheggio adeguato, con il rischio che chi sforava si trovava a pagare lo scaglione successivo di cinquanta centesimi. Messa così non appare un grande problema, anche perché si dimostra la potenzialità della bicicletta cittadina. Ma non tutti sembrano cogliere l’onda positiva data dal Bike Sharing. Parliamo ad esempio di Lecco, città in cui il locale servizio, chiamato Blubike, sembra sia nell’occhio del ciclone a causa di alcune criticità.

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I PROBLEMI DI LECCO E BARI – Come riporta una lettera pubblicata su Lecconotizie, il servizio è diventato un simbolo di sperpero e spreco. Si riporta poi la proposta del consigliere in quota Italia dei Valori, Ezio Venturini, che pur di salvare il servizio ha proposto di attivare l’Ecopass, sul solco di quanto avvenuto a Milano, per finanziare il progetto Blubike che costa all’anno 50.000 euro.La tessera viene promessa in 10-15 giorni lavorativi, quindi anche tre settimane, informare sugli uffici dove viene proposto il servizio e cambiare il sistema di tesseramento. A Bari, come riporta il Corriere del Mezzogiorno, il servizio è stato ricostruito da capo dalla società di trasporto pubblico Amtab che ha bandito ed aggiudicato una gara per l’acquisto di nuovi mezzi al costo di 30.000 euro con l’obiettivo di proporre mezzi più semplici che non invoglino i malintenzionati.

L’ANALISI DEI COSTI – Si perché in realtà a Bari il servizio nacque nel 2007. Ma delle 334 biciclette acquistate, ne sono rimaste 64. Inoltre nel 2012 il servizio ha registrato un ricavo di 6.678 euro a fronte di una spesa di manutenzione di 62.000 euro. Gli addetti alla manutenzione erano solo due e le biciclette non erano dotate del sistema d’identificazione in caso di furto. Inoltre i cittadini richiedenti erano 282 per 30 stazioni. E visti i mezzi rimasti in vita, era quasi impossibile trovare una bicicletta.  E qui affrontiamo un altro problema, ovvero quello dei ricavi. Altramilano ha fatto i conti in tasca al servizio Bikemi, che ricordiamo è gestito da una società americana. Dal 2008 al settembre 2013 Clear Channel ha ricavato circa sei milioni di euro, con gli abbonati che pagano 36 euro l’anno per iscriversi al servizio. Dividendo questa cifra per le 3.000 biciclette a Milano, emerge che per ogni mezzo Clear Channel ha ottenuto 2000 euro. Ottenendo da Atm 40.000 euro a stazione come finanziamento.

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L’UTILITÀ DEI FINANZIAMENTI EUROPEI – Inoltre Clear Channel nell’allestimento delle stazioni ha messo dei pannelli pubblicitari attivi 24 ore su 24 dal prezzo oscillante tra 300.000 e 500.000 per due settimane di ostensione, e quindi anche quando il servizio è fermo. Con il risultato che il Comune di fatto da moltissimi soldi a Clear Channel senza aver investito un centesimo nella mobilità sostenibile. Certo. Una scelta del genere si rende necessaria da parte dei Comuni che in questa maniera sperano di ammortizzare il più possibile i costi magari senza dover affrontare perdite. E se non ci sono sponsor, si pensa a finanziatori terzi. Padova Oggi ci parla dei finanziamenti europei dietro al progetto «Velocittà». Il progetto è caratterizzato dalla presenza di 11 partners internazionali e cinque autorità pubbliche responsabili della mobilità sostenibile, tra cui il Comune di Padova.

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