L’editoriale «razzista» di Panebianco sul Corriere della Sera

13/01/2014 di Mazzetta

Oggi il Corriere della Sera ospita un editoriale platealmente razzista di Angelo Panebianco. Editoriale che sembra piacere molto ai commentatori abituali del quotidiano, che giustamente lo mettono sullo stesso piano dei ricorrenti rantoli xenofobi di Giovanni  Sartori

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Nell’editoriale odierno sul Corriere della Sera , Angelo Panebianco parte dicendo di volersi lasciare alle spalle le ambiguità e le ipocrisie che hanno fin qui dominato il campo:

Le ambiguità dipendono dal fatto che sembriamo incapaci, a causa di certe sovrastrutture ideologiche, di decidere una volta per tutte a quale criterio appendere la politica dell’immigrazione: la convenienza oppure l’accoglienza.

Se non che, si tratta di criteri fra loro in contraddizione. Ne deriva l’impossibilità di formulare proposte coerenti.

Un espediente retorico sfacciato, perché Panebianco parte dal presupposto auto-dichiarato che ci sia da fare una scelta netta tra due criteri che dice essere in contraddizione e per di più dice che questa scelta è impedita da “sovrastrutture ideologiche”:

L’appello all’accoglienza ha una chiara origine ideologica, nasce dalla confusione, propria di certi cattolici (ma non tutti), e anche di un bel po’ di laici, fra la missione della Chiesa e i compiti degli Stati.

Peccato che Panebianco intorbidisca dolosamente le acque mescolando il trattamento riservato ai profughi con quello riservato ai migranti. L’accoglienza dei profughi e dei richiedenti asilo non è scritta nei libri della chiesa, ma nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e in numerose convenzioni internazionali, che semmai il nostro paese tende a non rispettare, condannando i richiedenti asilo ad anni di attesa in un limbo costoso per loro come per il nostro paese.

Ma non basta, perché questa premessa e il resto dell’editoriale servono a Panebianco per arrivare a pronunciare una proposta platealmente razzista e discriminatoria, ovviamente in nome della guerra all’ipocrisia e di un presunto interesse nazionale. Per questo Panebianco scrive come se non esistessero severissimi limiti agli ingressi su base annua e per questo passa poi con nonchalanche dall’opportunità di attirare manodopera qualificata con «una politica dell’immigrazione lungimirante cercherebbe di attirare quel tipo di mano d’opera a scapito di altri tipi» alla proposta di discriminare sic et simpliciter l’immigrazione di musulmani.

E poi ci sono altre considerazioni che dovrebbero entrare nelle valutazioni di chi decide la politica dell’immigrazione. Per esempio, certi gruppi, provenienti da certi Paesi, dovrebbero essere privilegiati rispetto ad altri gruppi, provenienti da altri Paesi, se si constata che gli immigrati del primo tipo possono essere integrati più facilmente di quelli del secondo tipo. È possibile che convenga favorire l’immigrazione dal mondo cristiano-ortodosso a scapito, al di là di certe soglie, e tenuto conto del divario nei tassi di natalità, di quella proveniente dal mondo islamico. Quanto meno, questo dovrebbe essere un legittimo tema di discussione.

Un passaggio pesantemente razzista, nel quale Panebianco collega il tasso di natalità alla religione e non alle condizioni di sviluppo del paese ospitante, che sono l’univa leva nota ed efficace capace d’influire pesantemente sulla dinamica demografica, e nel quale propone di discriminare gli immigrati sulla base della loro religione e provenienza, basta che siano musulmani. Una selezione che secondo Panebianco, sarebbe già praticata da altri paesi:

Una politica realistica, fondata sulla convenienza, si dovrebbe insomma porre problemi di scelta, di selezione (da monitorare e rivedere nel tempo, alla luce dell’esperienza). Non si tratta di inventare nulla. Altri Paesi hanno già imboccato questa strada.

Peccato che Panebianco non dica quali “altri paesi”, forse per non citare l’Arabia Saudita e pochi altri campioni, e peccato che (forse) non si renda conto dell’orrore di quanto ha appena finito di vergare. E che sia un orrore razzista diventa evidente a chiunque pensando a cosa sarebbe successo se Panebianco avesse invitato, vedi tu, a favorire l’immigrazione dei cristiani a scapito di quella degli ebrei. Per il Corriere della Sera proporre di discriminare i musulmani invece  si può, lo testimoniano decine di editoriali negli ultimi anni, non solo quelli di Sartori. Poco importa che dalla Costituzione alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, per finire a numerosi trattati internazionali siglati dal nostro paese, giunga il divieto di discriminazione in base a razza, sesso e convinzioni religiose, per Panebianco e il Corriere bisogna invece discriminarli senza incorrere nella «confusione, propria di certi cattolici (ma non tutti) e laici» che porta a pensare all’accoglienza quando si parla d’immigrazione.

Da non cattolico posso dire che i miei riferimenti sono diversi e decisamente più saldi, non essendo fondati sulle ubbie di sacerdoti e stregoni, ma sulla carta fondamentale di questo paese e su quella magna carta dell’umanità che è la dichiarazione universale dei diritti umani. Documenti che Panebianco offende esibendo un razzismo volgare, mendace e ignorante da offrire in pasto ai lettori del Corriere della Sera, quasi un pezzo à la carte, uscito dalla cucina della peggiore borghesia italiana, quella da sempre razzista e da sempre abbastanza pavida e vigliacca da nascondere il proprio razzismo dietro ad esercizi di stile tanto maldestri ed eversivi.

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