Alessandro Profumo e il pasticciaccio brutto del Monte dei Paschi di Siena

Alessandro Profumo ha perso la sua battaglia con la Fondazione del Monte dei Paschi di Siena: la proposta di far partire l’aumento di capitale a gennaio è stata bocciata dall’assemblea e la moral suasion del presidente non è servita a niente. Per la banca si annunciano fibrillazioni e oggi i giornali danno in uscita proprio Profumo:

«Sono decisioni che si assumono a sangue freddo e nei luoghi deputati», ha glissato Profumo. «Non ho comunicazioni da fare, avremo un consiglio a gennaio e lì valuteremo che cosa fare». Ma ha ribadito che quei soldi sono necessari: «Da dove arrivino i 3 miliardi mi interessa poco: se la banca è ben gestita e arrivano i 3 miliardi resta a Siena» altrimenti «sparisce», ha replicato al sindaco Bruno Valentini, preoccupato dall’arrivo di capitali stranieri. E ha attaccato: «La decisione di oggi è in linea con la difesa del 51% (adottata negli anni passati dalla Fondazione, ndr) che si è dimostrata errata. Speravo che non ci fossero altri errori». Viola è sulla stessa linea: «Io ho fatto di tutto perché la nave non affondi e navighi. Non datemi però responsabilità su ciò che non posso decidere».

Le quote della banca Monte dei Paschi di Siena in questa infografica di Centimetri:

MPS

E Fabrizio Massaro sul Corriere della Sera spiega che c’è molta più carne al fuoco di quello che sembra:

Indipendentemente dai vertici, comunque la banca deve portare a casa a maggio l’aumento. E la politica c’entra ancora, per vari aspetti. Per Profumo, una delle maggiori incognite sono le elezioni: all’inizio dell’estate ci saranno quelle europee. Ma forse anche quelle anticipate. «E lei si immagina un aumento di capitale del Montepaschi, banca politica per eccellenza, sotto una campagna elettorale?», sospirava ieri uno dei banchieri coinvolti nell’operazione.

Profumo aveva insistito per gennaio ben conscio delle difficoltà dei mesi passati:

Ancora a settembre – racconta chi ha lavorato all’operazione – gli istituti contattati per il consorzio di garanzia rispondevano a Mps: ci dispiace, ma non è il momento di chiedere soldi al mercato, riparliamone a dicembre. Ora il timore è che il mercato possa richiedere una ricapitalizzazione persino più elevata, fino a 4 miliardi, per cautelarsi in vista del passaggio del Monte sotto la vigilanza della Bce. E se invece l’aumento non arrivasse? Resta la carta estrema, la conversione dei Monti bond in azioni, ovvero la nazionalizzazione. Tecnicamente la scelta spetta ai manager. Ma non c’è dubbio che la decisione verrebbe presa dalla politica.

E nello scontro tra campanili Andrea Greco su Repubblica scrive che a rimetterci potrebbe essere proprio Profumo, il quale sarebbe piuttosto rassegnato:

«Dal mio punto di vista la cosa migliore era venire in conferenza stampa con la lettera di dimissioni — ha confidato ai collaboratori — ma ha prevalso il senso di responsabilità. Ora stacco qualche giorno, il tempo necessario per riflettere a sangue freddo. Finora non ho preso decisioni, voglio valutare bene pro e contro delle future scelte. A gennaio riuniremo il cda e vedremo. Ed esamineremo anche la possibilità di impugnare la delibera assembleare». Tanti giornalisti gli chiedono delle dimissioni; al primo risponde in sostanza «non adesso», gli altri li rimanda con fastidio crescente al primo: «Anche se sono un bancario, non sono di coccio e non cambio versione». Un piano piú sotto nella sede di via Mazzini Antonella Mansi, che ieri i soci riottosi di Mps hanno trasformato nella Madonna del Palio, cercava di non infierire sullo sconfitto, in un saluto alla stampa dimezzata, perchè i protagonisti non hanno avuto il garbo di lasciarsi la scena per intero. Profumo quindi aspetta. Anche perché troppe sono le variabili, da subito. Come reagirá in Borsa la maltrattata azione Mps? Cosa faranno i manager della prima linea — tutti portati da Profumo e Viola — dopo la virtuale sfiducia del socio forte? Come procederá il piano di ristrutturazione del Monte, una camicia di Nesso imposta da Bruxelles e dal Tesoro? Che ne sará della trattativa con la cordata delle fondazioni, disposte a mettere sul piatto 900 milioni per liberare l’ente Mps dal giogo dei debiti? L’esigenza di controllare queste variabili, da cui dipende la stabilità della terza banca italiana a rischio crescente di nazionalizzazione, potrebbe indurre le autorità ad attivarsi affinchè il management garante del riassetto possa continuare l’opera.

Mentre il commento affidato a Tito Boeri tira una riga sulle possibilità future dell’istituto di credito. L’economista prima ricorda le responsabilità della fondazione e quelle della politica nella situazione venutasi a creare oggi, e poi affonda:

Il Tesoro, in quanto organo di vigilanza sulle fondazioni bancarie, ha non poche responsabilità in quanto avvenuto nella terra delle Crete. Bene che questa volta non rimanga lì a guardare, relegando il caso Mps a un problema di politica locale. Potrebbe chiedere a tutte le fondazioni un piano di cessione delle quote detenute nelle banche di riferimento in tempi certi, pena la trasformazione automatica di queste azioni in azioni di risparmio senza diritto di voto.

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