L’incerta via di Putin verso l’eternità

30/12/2013 di Andrea Mollica

Il 2013 è stato l’anno in cui Vladimir Putin ha riaffermato con la massima copertura mediatica possibile il nuovo peso della Russia nella comunità internazionale.  Il Cremlino ha vinto le battaglie con l’Occidente, Usa ed Ue, le battaglie su Siria ed Ucraina, ma i successi di Mosca nascondono rischi per un impero energetico raggruppato attorno alla figura del presidente che viene dal Kgb.

 

ANNO DI PUTIN – Il 2013 è stato un anno di transizione nella comunità internazionale. Gli Stati Uniti stanno faticosamente emergendo dalla crisi che ha colpito i paesi industrializzati nel 2008, e Barack Obama sta subendo i contraccolpi tipici del secondo mandato di un presidente alla Casa Bianca. L’Unione Europea combatte ancora con la crisi della sua moneta, che ha colpito con maggior severità la periferia dell’eurozona, e fiaccato oltre modo la leadership politica della Francia, che ha cercato di ritrovare nel Continente africano le sicurezze di centralità ormai perdute a favore dell’egemonia riluttante della Germania. La Cina sta subendo il ripensamento imposto dalla nuova presidenza di Xi Jinping, che vuole salvare il comunismo in salsa capitalista che ha riportato al centro dello scenario internazionale l’Impero di Mezzo, ponendo fine agli eccessi dei decenni scorsi, caratterizzati da un boom economico e da un sempre più diffuso grado di corruzione ai vertici del regime. Altri paesi emergenti come l’India o il Brasile sono stati colpiti dalle crisi valutarie che hanno evidenziato la fragilità dei loro modelli di sviluppo, meno vicini di quanto si pensasse al sorpasso delle economie più avanzate ora in crisi. In questo scenario caratterizzato da alta frammentazione ed insicurezze diffuse si è affermata la mano ferma del Cremlino. Dopo una rielezione tutto fuorché trionfale, ed un’insofferenza sempre più manifesta verso il suo ritorno al potere, Vladimir Putin ha sfruttato il 2013  per riaffermare la forza della Russia nella comunità internazionale. Nella partita più rilevante dell’anno che si sta per chiudere, la Siria, il presidente russo si è posto alla guida di uno schieramento anti Usa che ha ricordato le tensioni della guerra fredda. Allo stesso modo Mosca si è messa pesantemente di traverso all’allargamento dell’Unione Europea verso i suoi confini, con un niet lanciato verso l’Ucraina a cui si è prontamente piegato il presidente del più popoloso paese ex URSS dopo la stessa Russia.

TENSIONE ESPLOSIVA – Nel 2013 Washington e Mosca hanno registrato alcune delle tensioni più forti della storia recente. La presidenza Obama si era insediata ponendo come obiettivo strategico delle sue relazioni estere la pacificazione con la Russia dopo gli scossoni che avevano caratterizzato il rapporto tra i due paesi durante l’amministrazione Bush. Sotto la guida di Putin Mosca aveva riacquistato un’assertività nella regione eurasiatica molto lontana dai toni dimessi della presidenza Eltsin, con uno scontro sempre più accesso rispetto all’espansione dell’influenza della Nato, e quindi negli Usa, nei paesi che si trovano ai confini con la Russia. Barack Obama ha provato a ristabilire un legame efficace con la Russia, e con il resto dei paesi emergenti, in sede di G20, ma il ritorno di Putin alla presidenza dopo l’interludio di Medvedev ha raffreddato un legame in realtà mai nato tra i due leader. Lo scandalo che più ha danneggiato l’immagine degli Stati Uniti all’estero, lo spionaggio dell’agenzia di sicurezza Nsa svelato grazie alle rivelazioni di Edward Snowden, è stato sostenuto da Mosca, che ha offerto asilo politico all’ex informatico che collaborava con i servizi segreti del Pentagono. Mentre gli Usa hanno criticato nei mesi passati la situazione dei diritti umani in Russia, Putin ha risposto offrendo libertà e tutela dal carcere all’uomo che ha svelato un volto più autoritario e repressivo della potenza americana. Se l’asilo a Snowden è stato sicuramente un attacco più efficace della delegazione americana alle Olimpiadi invernali di Sochi guidata da due atlete lesbiche, molta più importanza ha assunto lo stop di Putin all’intervento degli Usa in Siria.

 

PROSPETTIVE DIFFERENTI – Il presidente russo ha mostrato agli Usa tutta la sua insofferenza verso una modalità di azione che in realtà non convince i paesi al di fuori dalla sfera di influenza statunitense. I regime change in Iraq e Libia hanno lasciato perplessa Mosca, che si è opposta ad un intervento militare che poteva rimuovere dal potere un suo partner strategico. Assad compra armi dalla Russia, e Mosca ricambia con acquisti di petrolio, che in realtà mascherano un altro obiettivo. La Russia ha tutto l’interesse a mantenere bassa la produzione di olio nero in Medio Oriente, per non far abbassare ulteriormente il prezzo degli idrocarburi, la base della sua potenza economica. Per questo motivo Putin mantiene ben saldi i rapporti con l’Iran degli ayatollah e con la Siria di Assad, così da evitare la saturazione di un mercato che avrebbe pesanti ripercussioni interne sul benessere del suo paese. Il protagonismo sulla Siria si è reso necessario per evitare l’accerchiamento prodotto dal lento ma graduale riavvicinamento tra la Teheran ormai prostrata da anni di sanzioni economiche, un fronte capeggiato dal presidente Rohani, e gli Stati Uniti. Il primo accordo sul nucleare iraniano dopo anni di trattative ha evidenziato un isolamento di Mosca che potrebbe rivelarsi molto destabilizzante. L’UE si è schierata apertamente con Washington nella partita a scacchi con l’Iran, anche perché, come gli Usa, auspica una futura apertura dei rapporti commerciali che potrebbe facilitare l’abbattimento dei costi di produzione dei beni, e così stimolare una ripresa economica più sostenuta. La Russia ha interessi completamenti opposti, e ha fatto arrivare un messaggio chiarissimo di ostilità a Bruxelles frapponendosi al suo trattato di associazione con l’Ucraina. Il grande gelo con l’Occidente si è poi palesato con lo stazionamento dei missili nucleari Askander ai confini con l’UE. Putin ha parzialmente smentito una notizia in realtà annunciata dal suo ministro della Difesa, sottolineando però come il dislocamento di testate nucleari su stazioni mobili sia una possibilità apprezzata dal Cremlino per riequilibrare l’avanzamento dello scudo missilistico della Nato. Un sistema difensivo che depotenzierebbe significativamente l’arsenale atomico della Russia e dei suoi paesi alleati come l’Iran.

 

RUSSIA INQUIETA – Il protagonismo sulla scenario internazionale di Vladimir Putin ha avuto come corrispettivo il rafforzamento della presa del presidente in patria. Dopo una rielezione non esaltante, contrassegnata dalla prima, significativa comparsa di un movimento di opposizione nei suoi confronti, il Cremlino è riuscito nel 2013 a contenere i sentimenti di ostilità nei suoi confronti. Con la debolissima opposizione esistente nei suoi confronti Putin ha avviato uno scambio per depotenziare le possibili minacce al regime, liberalizzando le elezioni negli enti locali. Una riforma di apertura al confronto partitico dopo la stretta decisa a inizio della ormai lunghissima presidenza, che però riguarda la periferia. I nodi nevralgici del sistema russo, le metropoli di Mosca e San Pietroburgo, rimangono piantonate da suoi fedelissimi, anche se le comunali nella capitale, con il buon secondo posto di Alexei Navalny, sono andate meno bene del previsto. Secondo gli ultimi sondaggi il presidente è rilevato sui valori più bassi di popolarità registrati da quando è al Cremlino, ma i dati sono sempre superiori al 60%. Le polemiche occidentali sulla scarda democrazia e le lesioni ai diritti degli omosessuali non hanno scalfito l’immagine del presidente, mentre maggiori problemi sono stati creati da un’economia che dà segnali di sofferenza.  L’amnistia di fine anno, il coup de theatre che ha rilanciato una diversa immagine, meno fredda e spietata, del Cremlino non è stata solo un’operazione di pubbliche relazioni lanciata prima delle Olimpiadi di Sochi, il più grande evento mediatico organizzato dal regime di Putin dalla sua fondazione. La Russia ha un ingente bisogno di investimenti esteri, ed la liberazione dello storico avversario Khodorkovskij, uno degli uomini più ricchi del paese, è stato un messaggio mandato anche alla comunità degli affari. Il patto tra i Silovikhi, gli ex membri del Kgb che occupano molti posti di vertice del regime, e gli ex oligarchi dell’era Eltsin è stato sostanzialmente rinnovato; le attività economiche in Russia rimangono libere fino a quando non si toccheranno nodi sensibili, altrimenti la via dell’esilio rimane la soluzione più apprezzata da entrambe le sponde.

 

IMPERO ETERNO – L’economia rimane l’aspetto più fragile della Russia di Putin. Dopo gli anni del boom di inizio secolo, coincisi con l’esplosione dei prezzi degli idrocarburi, la crescita è rallentata significativamente, tanto che le previsioni di aumento del Pil del triennio 2013-2015 sono state dimezzate a causa della stagnazione degli investimenti e dei consumi. La rivoluzione dello shale gas ha posto una minaccia pesante sugli equilibri economici, finanziari e sociali del paese, visto che la maggior parte delle entrate fiscali russe dipende dal mercato energetico. Il rublo ha risentito delle difficoltà subite sui mercati valutari dalle monete dei paesi emergenti, arrivando ai suoi minimi dall’inizio della crisi finanziaria, e le prospettive per il futuro non sono rosee, sopratutto se non ci sarà un aumento del prezzo degli idrocarburi. In questi ultimi mesi Vladimir Putin ha lasciato intendere che potrebbe ripresentarsi alle presidenziali del 2018, così da cogliere un nuovo mandato al Cremlino. Se venisse confermato, l’ex agente del Kgb rimarrebbe al potere un quarto di secolo, un lasso temporale eguagliato prima di lui solo da Stalin o dagli Zar. In questo momento solo la fragilità dell’economia appare un possibile ostacolo al regno eterno di Putin sulla Russia, vista la demografia sfavorevole del paese, e la graduale ma costante trasformazione del mercato degli idrocarburi. Il gas ed il petrolio sono state le chiavi per il ristabilimento dell’ordine nell’ex Repubblica più importante dell’Unione Sovietica, ma il dominio assoluto potrà essere confermato solo se quest’equilibrio, se non mantenuto, sarà allentato il meno possibile.  La sfida tra Putin ed Obama, ed il suo successore statunitense, proseguirà visto che l’interesse della Russia è l’esatto opposto di quello americano.

Share this article