L’altra lettera di Bernardo Caprotti al Corriere della Sera

Dopo l’articolo sulle donazioni pubblicato ieri, Bernardo Caprotti scrive oggi al Corriere della Sera parlando di una congiura che lui avrebbe sventato:

Caro Direttore, grazie, siamo finalmente in prima pagina, sia Gerevini che io. Se posso, vorrei dire —a seguito di qualche malevolo commento—che tutto ciò che ho dato ha pagato le tasse. Poi, che altre donazioni possono aver luogo, senza passare per il notaio: Ricerca sul Cancro, Vidas, Bambini nefropatici, Shoah, San Raffaele, scusa mi fermo, sono stati i miei preferiti. Infine un chiarimento su tutta questa gazzarra. Qui dentro c’è stato un terribile schifo, una congiura. Un vecchio che qui aveva fatto troppa carriera doveva fare le scarpe all’amministratore delegato Carlo Salza, assieme a una centralinista, la consigliera-assistente di mia figlia Violetta e a un giornalista che ben conosci e che ha impestato tutte le redazioni dei giornali d’Italia, con quella roba che avete stampato. Carlo Salza, Germana Chiodi, io e altri dovevamo «essere fatti fuori». Ma noi siamo un gruppo di ferro. In questo orrendo frangente, quella figlia purtroppo ha creduto di più in quel vecchio arnese che nel suo papà. Ed è così che non c’è stato modo: nello sbalordimento dei suoi e dei miei professionisti, neppure ha voluto considerare l’opportunità miliardaria di ricevere 84 immobili dal reddito ingente e sicuro e mettersi tranquilla. Qui sta la chiave di tutto. Mettere queste cose in piazza mi ripugna. Ma quando si arriva al punto di avere persino il numero del proprio conto corrente pubblicato su quello che è il «Times» del proprio Paese, forse conviene sputtanarsi fino in fondo. Con amicizia e riconoscenza. Bernardo Caprotti P. S. Le montagne di cose e di soldi che hanno avuto i miei due figli maggiori, qui non lo mettiamo, anche per decenza.

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