Il bambino medico e la commessa infermiera: storie o favole dal Giappone?

Giampaolo Visetti, inviato di Repubblica, racconta aneddoti sul terremoto. Che però in rete suscitano dubbi.

Girano strane storie. E arrivano dal Giappone. Terra martoriata in questi giorni d’agonia. Prima il terremoto, poi lo tsunami, poi ancora il disastro nucleare a Fukushima: un paese che si rimette pian piano in moto, diligentemente, con flemma orientale. Sono vive le immagini dei cittadini che si mettono serenamente in fila per il loro rancio; il Tg3 giorni fa aveva l’apposito servizio che mostrava cose che in Italia neanche se fossimo pagati oro faremmo. Tipo rimettere a posto le autostrade dopo il più grande cataclisma degli ultimi anni in 5 giorni. Da noi basta la pioggia e tutto va giù.

VOLTI E STORIE – Ma non parliamo di questo, o forse sì: parliamo dei volti dei giapponesi che rimettono in marcia, lentamente, la loro esistenza. Di chi ce l’ha fatta, di chi no, di chi si è sacrificato, di chi ha perso tutto. La cosa principale è che non ne parliamo noi, ma la rete. Il web italiano che da qualche giorno gira intorno ad un articolo di giornale, della Repubblica per la precisione. E la polemica è alta. Perchè, secondo i commentatori, c’è qualcosa che non va, in quell’articolo: non tutto torna. Il pezzo in questione è di una delle firme di esteri più importanti del quotidiano di Ezio Mauro, Giampaolo Visetti, uno che a Tokyo, in questi giorni, c’è stato. E ha scritto: ha scritto di facce e volti, ha scritto di storie e persone e di storie di persone. Il suo articolo si chiamava “La lotta dei sopravvissuti sette giorni dopo l’apocalisse. Le storie dei superstiti del terremoto e dello tsunami che hanno devastato il nord-est”. Ed il titolo è tutto un programma: di questo, parla, Visetti. Dei volti di chi è rimasto a piangere i suoi morti.

Ieri alle 14.46 il Giappone si è fermato. Dopo una settimana, milioni di persone, si sono inchinate ai morti e ai dispersi dello tsunami di venerdì 11 marzo. Per un minuto, inginocchiate per le strade, nei parchi, in ufficio o in cucina, nei dormitori degli sfollati o tra le macerie che coprono lo costa del Nordest, non hanno pensato al pericolo incombente della centrale atomica di Fukushima. Hanno acceso candele nei templi e sono tornate con la mente all’onda del Pacifico, che ha travolto tutto, facendo sentire fragile il mondo. Migliaia di ragazzi hanno scritto al premier Naoto Kan, chiedendogli di “riflettere sul senso della ricchezza fondata su un’energia capace di sterminare l’umanità in pochi istanti”

Dieci storie, dieci vite, dieci racconti da narrare.

FUTOSHI – Quello che ha fatto più discutere, e che è scaduto in polemica politica anche da noi, in Italia, paese che proprio mentre il Giappone piange le sue vittime cerca di capire se tornare o meno all’energia nucleare possa essere un’idea utile per garantirci un futuro, è la storia del martire di Fukushima. L’eroico tecnico che, come nel caso Chernobyl, ha scelto di immolare la propria vita per la salvezza di tutti.

Futoshi Toba è il più vecchio tra i condannati a lottare per impedire che la centrale atomica di Fukushima esploda, distruggendo il Giappone. Ha 59 anni, è senza figli, e nella notte di sette giorni fa ha deciso che sarebbe toccato a lui. Giovedì, investito dalle radiazioni, è stato ricoverato in un centro di Tokyo e secondo i medici ci vuole tempo. La scelta dell’operaio Futoshi Toba, rivelata ieri in tivù, ha scosso il Paese come un altro terremoto. A giugno, perseguitato da una violenta bronchite cronica, sarebbe andato in pensione. “Hanno chiesto chi conoscesse il reattore 4 – ha raccontato – e vedendo i ragazzi che avevo vicino, ho risposto che io sapevo tutto. Ho capito che il mio destino era compiuto e che dopo anni vani avevo l’occasione di dare un senso alla mia vita”. Non ha voluto spiegare quale sia la situazione. “Mai visto prima il reattore 4 – ha aggiunto – ma prego il mio Paese di riflettere se questa è la strada giusta per assicurarci un futuro”.

Un uomo, anziano, esperto. Si offre volontario e va, per salvare tutti gli altri. Viene estratto dalle macerie della centrale ancora vivo, ma distrutto dalle radiazioni. E dal lettino dell’ospedale lancia il suo pensiero: attenzione, qui è è allarme rosso. Il Giappone dovrebbe cambiare strada, perchè cose del genere potrebbero ricapitare.

CHI ERA COSTUI? – La storia riceve eco nazionale da Massimo Gramellini, vicedirettore della Stampa, autore del Buongiorno quotidiano sul quotidiano torinese ed editorialista di Fabio Fazio a Che tempo che fa. Il giornalista torinese mette la storia di Futoshi in cima alla sua classifica dei fatti della settimana, il che, appunto, gli dona una certa risonanza. Il paese, commosso, inizia a discutere. D’altronde l’appello di Futoshi sembra indirizzato proprio all’Italia. Se il Giappone deve riflettere su se stesso, un paese che gira praticamente solo ad energia nucleare, figuriamoci l’Italia, che sta scegliendo se tornare o meno all’atomo. Si aprono blog, si iniziano discussioni. E a qualcuno inizia a saltare la mosca al naso: “Ma vuoi vedere che…?”. Vuoi vedere che c’è qualcosa da approfondire? Qualcuno ci prova.

Dal letto d’ospedale, il sig. Toba raccomanda al suo Paese di voler riconsiderare la scelta dell’energia nucleare creando grande scandalo. La notizia e’ ripresa in vari blog e altri giornali italiani. C’e’ addirittura una foto. Ma sui siti in inglese e in francese, nulla. Si trova un altro Futoshi Toba, 46 anni, sindaco di Rikuzentakata, attivissimo nell’organizzazione dei soccorsi. Nessuna traccia del “nostro” Futoshi Toba. Leggenda metropolitana? Su Twitter scovo una traccia reale: un blog post in pessimo inglese, senza dubbio una traduzione automatica di un articolo giapponese. Qui parlano proprio di lui… pero’ a cercare bene, no! Si tratta di una traduzione automatica di un articolo italiano! Uso Google per cercare nei vecchi post di Twitter ancora in memoria. Nisba. E allora, l’arma assoluta: tiro fuori la moglie giapponese. Inizialmente non trova nulla. Poi scopre un trafiletto che parla di un impiegato, anonimo, di 59 anni, che lavora da 40 anni nell’ufficio di controllo di centrali nucleari, nella prefettura di Shimane (al sud, a 700km da Fukushima), a 6 mesi dalla pensione. Costui si sarebbe portato volontario insieme ad altri per andare ad aiutare alla centrale di Fukushima.

Come ha fatto Visetti ad ottenere la storia di un uomo di cui nessuno sa nulla? Di cui nemmeno a cercare tramite persona madrelingua si trova qualcosa? Come fa Visetti ad avere in mano la storia di una delle persone che la stampa internazionale ha chiamato “i 50 di Fukushima”, proprio perchè la TEFCO, la società che gestisce gli impianti giapponesi, ha sempre evitato in maniera certosina di rivelarne le identità? E perchè, se poi il Futoshi di cui parla Visetti è il Futoshi di cui si hanno fonti, per quanto frammentarie e sporadiche, i due non dicono la stessa cosa?

La dichiarazione dell’uomo sarebbe stata: “Il futuro dell’energia nucleare dipende da come verra’ gestita questa situazione. Ci vado per senso di dovere”. Non e’ proprio la stessa cosa.

Il web se lo chiede: e a ragione. La dichiarazione dell’uomo è stata molto sovraccaricata rispetto all’originale – ammesso che non si tratti un’omonimia, che Visetti non stia parlando di un altro Futoshi, allo stesso modo dentro Fukushima. Ma si sa, quando il web si imbatte in una storia del genere, non si ferma. Ravana, e va oltre.

IL POSTINO – Inizia a cercare fonti e notizie alternative a tutte le storie che Visetti ha raccontato. Inizia a fare le pulci al pezzo. Visetti, queste storie di sopravvissuti, da dove le ha tirate fuori?

Tetsu Hasegawa aveva 57 anni e da trentasette faceva il postino a Kamaishi. Lo ha salvato il mestiere. Quando è suonato l’allarme stava consegnando lettere sul porto. Ha visto l’onda arrivare ed è saltato sulla bicicletta. L’acqua saliva e gli mangiava la strada. Ha pedalato senza girarsi e il fango gli è arrivato a metà ruota. Pensava di essere riuscito ad arrivare a casa, ma al posto dell’edificio costruito dal padre c’era un lago che non aveva mai visto. Solo martedì si è convinto che la sua famiglia era sparita là sotto: genitori, moglie e due figli che stavano studiando. Agli amici ha detto di non pensare a lui, ma di aiutare i feriti. Miracolato dall’oceano, Testsu Hasegawa è morto improvvisamente ieri mattina nel centro di raccolta. I medici hanno accertato che l’hanno ucciso la fame e la sete. Sotto la sua coperta hanno trovato le razioni di cibo e di acqua che per sette giorni non ha consumato. Ha lasciato una busta chiusa indirizzata alla moglie annegata.

La storia del postino che muore in ricordo della moglie scomparsa è una di quelle che Vietti racconta.

Tetsu Hasegawa dice spesso che non ha perso nulla, o comunque nulla di cui ci si possa preoccupare, e che questo è tutto ciò che gli viene in mente riguardo ai cambiamenti che sono avvenuti. (…) Dopo il terremoto di magnitudo 9 che ha colpito il giappone alle 2 di quel venerdì, le linee di cellulari sono state buttate giù in gran parte del paese. Ma Hasegawa è riuscito a usare una linea di terra ed è stato in grado di raggiungere la sua famiglia dopo poche ore. La sua casa non è stata danneggiata.

Prego?

Hasegawa si sente però certo che qualcosa è stato perduto: una parte di Tokyo che amava.

E il postino?

Hasegawa sa qualcosa di energia e affini, perchè lavora per la JX Nippon Oil – anche se adesso, in una normale abitudine giapponese, è in prestito per due anni ad una organizzazione economica in città. JX Nippon, per farla breve, sviluppa petrolio altrove nel mondo e lo importa in Giappone.

Ma insomma, quanti Hasegawa ci sono? Quello di cui parla Visetti e quello del Washington Post? Si tratta di un’omonimia? Potrebbe essere, in fondo le due vite raccontate sono totalmente diverse.

LA COMMESSA – Anche a voler escludere questa storia, però, chi ha cercato bene i nomi all’interno dell’articolo di Visetti ha altro materiale da proporci. C’è la storia della commessa del supermercato, che è scomparsa nel nulla prima di ricomparire e di far gridare la sua città al miracolo. Una storia di lacrime e di volti ritrovati, davvero bella.

Masako Sawasato è riapparsa ieri alle 11 e a Yamadachi l’hanno ribattezzata la “madre risorta”. Commessa di un supermercato era fuggita in auto, cercando di accelerare più dell’onda. È rimasta bloccata in un colonna, davanti alla quale era crollata la strada. Trenta mezzi inghiottiti sotto gli occhi dei passanti. Lunedì suo marito Yoshikatsu Hiratsuka ha denunciato che era scomparsa. Giovedì ne ha identificato i resti presunti, schiacciati sotto la sua Honda rossa. Ieri era il giorno del funerale. Marito e figlio stavano vegliando la bara, di legno chiaro. Vicino, un sacchetto con i regali per accompagnarla. Masako Sawasato li ha visti nell’obitorio, dove è entrata per cercare loro: anche lei li credeva defunti. Per una settimana, dopo essersi svegliata su uno scoglio, è rimasta isolata su una collina sei chilometri più a nord. Quando si sono rivisti, i tre non hanno detto niente. Poi il bambino le ha chiesto: “Dove sei stata?” e ha voluto toccarla.

Solo che, a cercare il nome della donna, ancora una volta i conti non tornano. A meno che, di nuovo, non ci si sia imbattuti in un’omonimia, clamorosa.

Nel porto giapponese devastato di Ofunato, la distanza fra la normalità e il delirio si può misurare in metri. Chiedete a Masako Sawasato. La sua casa è rimastsa completamente indenne dallo tsunami gigante che ha portato rovina sulla costa nordorientale del paese, dopo il più violento terremoto mai visto. Ma le rovine di molte delle case dei suoi vicini sono impilate nel vialetto di casa sua, proprio davanti alla porta. “Casa mia è salva, così la mia famiglia continuerà a vivere qui, ma per i miei amici è veramente difficile rimanere e ricominciare”, ha detto Sawasato.

E la sparizione? Ma non era una miracolata? La città è Ofunato o Yamadachi? Sono due storie diverse? Però sono un po’ sfortunate, perchè sarebbero state travolte entrambe dalla stessa onda anomala.

“L’onda era dietro di me e c’era una fila di macchine così sono uscita dalla macchina e mi sono messa a correre”.

Forse sono compatibili. Cioè, torna: la donna era incolonnata, è scappata, ma la fonte americana non riporta tutta la storia della sparizione e della riapparizione miracolosa. Magari sono due pezzi della stessa storia, però. Magari Visetti ha saputo fare quella domanda in più che…

RAGIONIERA O INFERMIERA? – Non è chiaro. Non si sa. E il materiale continua, non si esaurisce. Altre storie sono sul banco dell’accusa.

Michiko Takahashi ha 42 anni e faceva i conti nella cooperativa dei gamberi a Minami-Soma. È stata lei ad accorgersi che sulla spiaggia erano stesi trecento corpi. Ieri sera è arrivata a Tokyo, è scesa dalla sua bici ed è entrata in una farmacia. Ha acquistato uno scatolone di medicine contro l’influenza e la gastroenterite, che nelle prefetture travolte stanno contagiando migliaia di sopravvissuti. In un grande magazzino ha ordinato duecento coperte, il massimo che poteva permettersi investendo i risparmi. Poi è risalita in sella e ha imboccato la via del ritorno. Se non avesse incrociato un giornalista giapponese nessuno saprebbe di lei. Visto che dopo una settimana i soccorsi ancora non sono sufficienti, Michiko ha deciso di fare da sola. Oltre quattrocento chilometri in due giorni, sotto la neve e a digiuno, altrettanto per rientrare. Adesso i giapponesi pensano a lei e iniziano a credere che nulla è impossibile: nemmeno rialzarsi dopo l’11 marzo.

Ah, c’è un giornalista giapponese in mezzo. Quale? Che testata? Potrà confermare. Forse scrive per lo Yomiuri Shimbun? E se sì, perchè scrive qualcosa di diverso?

“Siamo tutti esausti. Il cibo che abbiamo non nutre, gli evacuati non sono in grado di resistere all’infezione. Abbiamo bisogno di contrastare le malattie più velocemente possibile perchè dilagheranno molto di più se i sintomi peggioreranno”, afferma l’infermiera scolastica Michijo Takahashi, 52anni, che si sta prendendo cura della salute degli evacuati.

Infermiera? Ma non era una contabile in un’azienda di gamberetti? E tutta la storia della bici? Può combaciare, ma perchè se Visetti cita la fonte giapponese, sulla fonte giapponese non c’è niente in merito? Anche perchè lo Yomiuri collega questa storia alla regione di Tohoku, dove in effetti si trova Minami-Soma, la città di cui racconta Visetti. E’ la stessa storia? Sono due storie diverse? E’ la terza storia omonima che ci racconta Visetti?

IL BAMBINO CHE ERA UN MEDICO – La quarta storia. C’è anche una quarta storia, fra quelle di Visetti, a non tornare ai girovaghi del web, un po’ cani da guardia, un po’ cattivi quando si tratta di fare lavori sporchi del genere. Ma se una cosa non torna, non torna. Questa volta ad andarci in mezzo è un bambino. Un bambino che Visetti ci racconta miracolosamente salvato dalle acque.

Hiroshi Gyobu ha 9 anni e ce l’ha fatta. È stato recuperato al largo di Rikuzen-Takata, la città di pescatori dove diecimila corpi sono ora sepolti da una palude. Giaceva su una barca rovesciata, aggrappato da sette giorni a un groviglio di alghe. Il pilota di un elicottero lo ha visto per caso, attratto da una mano che non si muoveva al ritmo della marea. Quando è stato issato con il verricello, il Giappone si è commosso. Ritiene di aver assistito ad un miracolo, forse all’inizio di una reazione, alla prova di poter resistere a tutto e ricominciare. Hiroshi Gyobu era stato spazzato via mentre era in auto con il padre Yoshiya. Si sono svegliati all’alba, su quello scafo. Erano fradici e il padre lo ha coperto con la sua giacca. Martedì gli ha infilato i suoi vestiti, tolti e stesi ad asciugare. Gli ha detto di non muoversi e di aspettarlo. “Raggiungo la riva, chiedo aiuto e vengo a prenderti – ha detto – altrimenti è la fine”. Si è calato in acqua e ha iniziato a nuotare, ma non è tornato

Un bambino, volato via con il padre. Che poi è morto. Il bambino sta affogando sulla sua nave capovolta. Un elicotterista, dall’alto, vede una mano che si muove. Che lo chiama, in un certo senso. L’ultimo sospiro di vita di chi non vuole mollare: e per fortuna, appena in tempo. Viene issato, ce la fa. E il Giappone torna a sperare. Già, ma, aspetta, si sono detti quelli dei blog. Cerchiamo. E che cosa troviamo?

Hiroshi Gyobu, uno dei membri del team medico, ha sostenuto esserci un considerevole numero di persone che sono state evacuate senza le medicine che di solito prendevano. “E’ particolarmente preoccupante perchè molti degli evacuati sono anziani con problemi di pressione.”

E’ sempre lo Yoimiri Shimbun, a definire Gyobu un medico molto impegnato a darsi da fare per risolvere la situazione. Quindi?

LA RETE NE PARLA – Quattro omonimie? Quattro storie con quattro nomi che, se cercati in giro, sono di qualcun’altro? Non è strano? Un po’ strano, in effetti, lo è. E lo pensano anche gli utenti della rete. Che, sulle pagine Facebook dedicate al dialogo italo-giapponese, discutono proprio della questione di cui stiamo trattando anche noi.

E’ evidente che il ns. Visetti si è scopiazzato i nomi da varie fonti in lingua inglese. Per dirla con l’amato Poirot “una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze un indizio, tre coincidenze …una prova!

La cosa sconcertante è che tu cercavi le notizie riportate dal Visetti nelle testate internazionali ma soprattutto giapponesi e non le trovavi, Paola ha cercato i nomi e li ha trovati, sono tutte persone che hanno operato nell’area investita dal teremoto

Insomma, da discutere sembra esserci. Nomi che sono storie per Visetti ma che per Google ne raccontano altre. Nomi presi in prestito? Omonimie? Quattro omonimie nell’area terremotata? Quattro nomi uguali – e perciò, otto persone – con storie a volte molto simili, particolari che tornano (primo fra tutti, l’essere stati presenti allo stesso momento nell’area del terremoto, per un motivo od un altro), ma altri che non tornano affatto. Se così fosse, se fossero otto omonimi, ci sarebbe da fare un’articolo a parte solo per questo.

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