Praticanti legali: la schiavitù della fedeltà, dopo il giuramento all’Ordine

Una massoneria, o meglio una gilda medievale, controlla i destini di chi vuole diventare avvocato. 400 euro dopo sei mesi di servitù della gleba, “e ti viene anche di ringraziare”.

Interno, sera. Quartiere san Lorenzo, Roma. Appoggiati al muro di un caffè-pasticceria, alcuni manifesti politici, arrotolati, non diremo di quale organizzazione politica, anche se è intuibile, o lo sarà, e in ogni caso non ci interessa. Sono arrivati in ritardo, ma sono arrivati; li stavamo aspettando. Intorno al tavolo ci riscaldiamo con quattro tazze di tè, e ascolto una storia. La loro. Loro sono giovani, entusiasti, e molto bravi. Diremo anche che sono vecchie conoscenze, senza che questo influisca granchè. Per parlare con noi hanno richiesto, e in parte gli è stato offerto, l’anonimato. Perché per raccontare quel che ci interessa sentire può non essere una buona idea parlare a volto scoperto. Sono giuristi, laureati in giurisprudenza; un maschio, e due donne. Sono il Collettivo Giuristi Anonimi, nome che non rintraccerete altrove, perché esiste solamente nello spazio di questo articolo. Sono ragazzi che hanno studiato, hanno combattuto, si sono laureati nella materia che a loro piaceva, e l’hanno scelta come professione. Sono, vogliono fare gli avvocati; per ora, sono praticanti legali, in diversi studi della Capitale, con diverse specializzazioni, chi civile, chi amministrativo e qualcosa di penale. Sono parte di quel vasto limbo che le cronache giornalistiche ci descrivono come l’inferno in terra, il massimo della precarietà. Hanno accettato di raccontarci, senza filtro, con le parolacce se necessario, quella che è la loro vita quotidiana da quando sono usciti dall’università e hanno trovato il loro dominus – che non è un termine giuridico, significa padrone e lo è veramente – l’unica loro speranza per trovare un modo di diventare quel che vogliono essere da grandi, come persone realizzate. Fra orari massacranti, paghe nulle, file in Tribunale, la Giustizia dov’è? Abbandonata nelle aule universitarie, riposta negli sguardi di chi ancora ci crede. Benvenuti nel mondo dei praticanti legali.

Ci siamo appena laureati in Giurisprudenza. Abbiamo fatto la festa. E ora, che succede? Quali sono le sensazioni? Che cosa si prova?

Laurearsi è drammatico, e in definitiva non appagante. I problemi di quando si studiava sono amplificati al mille per mille. Dopo l’università sei lanciato sulla strada, e tutto quello che hai studiato non è in nessun modo collegato al mondo del lavoro. Uno si laurea sognando un mondo di giustizia, esce dall’università ed entra in contatto con la reale macchina della giustizia. Il sistema della giustizia semplicemente non funziona per nessuno degli operatori: giudici, cittadini, cancellieri, avvocati, personale, praticanti. Ti trovi mattinate intere in fila, nulla funziona, non si trova la carta, la cancelleria chiude entro le 11 ( e apre alle 9.00 : 2 ore di lavoro) – il motivo? carenza di personale ( e diciamolo, sono anche gli impiegati che ci marciano ). La domanda è che cosa vuol dire essere dottore in Giurisprudenza? In linea di massima in moltissimi fra i laureati scelgono la via dell’avvocatura, vale un po’ per tutti – sono laureato, che non lo faccio l’esame di stato?

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