Il terzo stato della coscienza durante l’anestesia

Non certamente svegli. Ma nemmeno del tutto insensibili agli impulsi esterni. Secondo il professor Jaideep Pandit, anestesista presso gli ospedali universitari di Oxford, esiste un terzo stato di coscienza nel quale possono rifugiarsi i pazienti sottoposti ad anestesia totale durante gli interventi chirurgici.

 

anesthesiologist in OR

 

LA ‘DISANESTESIA’ – Ne parla la sezione Salute della Bbc. Secondo l’esperto medico, in una piccola minoranza di casi lo stato di completa incoscienza del paziente sotto i ferri, dopo la somministrazione di anestetico, non arriva mai. «Lo chiamo ‘disanestesia’ – ha spiegato Pandit -, uno stato in cui il paziente è consapevole dell’intervento e non è nè conscio, nè inconscio». La possibilità di una terza dimensione della coscienza, secondo Pandit, considerato uno dei migliori anestesisti del suo paese, deriva innanzitutto dal fatto che nessuno può ritenersi mai completamente sicuro che i farmaci somministrati abbiano avuto l’effetto sperato ed è molto difficile, richiedendo molti anni di formazione, riuscire ad individuare il farmaco giusto e la quantità giusta per ogni paziente.

LA REAZIONE AGLI STIMOLI – Secondo le statistiche mediche, ricorda la Bbc, solo un paziente su 15mila dice di ricordare dopo il risveglio alcuni episodi relativi all’intervento subito, ma gli esperimenti di Pandit sono rivolti a dimostrare che alcuni pazienti si rendono protagonisti di alcune reazioni agli stimoli esterni. L’anestesista ha fatto ricorso alla vecchia tecnica utilizzata del laccio emostatico avvolto all’avambraccio per paralizzarlo ed evitare miorilassamenti. Un terzo dei pazienti apparentemente inconsci durante l’intervento ha mosso le dita del braccio libero. «A tutti gli effetti questi pazienti sono in stato di incoscienza – ha spiegato Pandit – ma sono in uno stato in cui possono rispondere ad alcuni stimoli esterni, come i comandi verbali». Un terzo livello di coscienza, appunto.

L’OBIETTIVO – L’obiettivo dell’anestesista di Oxford è di approfondire la ricerca per abbattere il rischio per il paziente di ricordare l’intervento subito ed anche il dolore. Si tratta, in realtà, di una possibilità bassissima, ma una simile esperienza può rivelarsi estremamente traumatica. Lo conferma anche il dottor Kevin Fong, che lavora negli ospedali dell’Università di Londra. Che spiega: «Siamo ancora incapaci – di stabilire con esattezza cosa la coscienza umana sia, quindi monitorare la sua assenza è difficile». «Ma abbiamo imparato a difenderci dalla consapevolezza durante l’anestesia attraverso diversi livelli di monitoraggio. Controlliamo frequenza cardiaca, pressione sanguigna, respirazione, la concentrazione di farmaci nel sangue».

(Fonte foto: Pressdispensary.co.uk)

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