Lucia Annibali: la donna sfregiata con l’acido torna a sorridere

Il Corriere della Sera racconta oggi in prima pagina, in un articolo a firma di Giusi Fasano, la storia di Lucia Annibali, la donna sfregiata con l’acido a Urbino:

Un uomo incappucciato che scappa via: «Mi ha guardato un istante, ho visto che aveva in mano un barattolo…». Quel tizio corre giù per le scale, i salti risuonano nella memoria: «Mi sono detta un sacco di volte che forse potevo scappare, che magari avrei potuto protegger- mi un po’ di più». Lo sconosciu- to è lontano, Lucia rivede se stessa sull’uscio di casa: «Quello mi ha lanciato addosso il liquido del barattolo. Ricordo la mia faccia che friggeva, rantolavo. Ho fatto in tempo a specchiarmi un istante prima che gli occhi non vedessero più niente. Ero grigia, c’erano bollicine che si muoveva- no sulle mie guance. Urlavo, urla- vo tantissimo. Ricordo di aver tolto il giacchino di pelle per non rovinarlo… come se fosse importante».

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Il quotidiano racconta dell’arresto di Luca Varani, avvocato con cui Lucia Annibali aveva una relazione:

È a casa, Lucia. Nell’appartamento dei suoi genitori a Urbino. Ma è un continuo tornare in ospedale, a Parma. Medicazioni, controlli, fisioterapia, massaggi, laser. E nuove operazioni all’oriz- zonte. «Mi ci vorrà almeno un anno per tornare con un viso, dicia- mo, armonioso. Adesso non sono un granché, mi rendo conto, ma ho in programma un’opera- zione per allargarmi la bocca, così sembrerò ancora più umana e finalmente potrò sorridere». Si vive di piccoli passi in avanti, e ogni volta sembra di aver scalato montagne. Il suo primo ottomila Lucia l’ha conquistato il giorno in cui ha osato chiedere. Era in ospedale da settimane: «Ogni tanto mi toccavo e mi di- cevo “sto’ naso… mi sa che non c’è rimasta tanta roba…” sentivo la pelle sottile sottile… A un cer- to punto, mentre ero ancora ben- data, ho cominciato a fare un po’ di domande. Come sarò? E loro: “avrai delle cicatrici”. Ricordo che ho detto: “Definisci cicatri- ci”.

E loro:

“Avrai la pelle di un colore diverso, all’inizio non ti piacerai ma poi migliorerai”. Mi sono messa a piangere ma ho scoperto che non potevo farlo. Se avessi pianto avrei potuto ro- vinare la pellicola che mi aveva- no applicato. Allora mi sono det- ta: Lucy, sei adulta, sopporta quello che c’è da sopportare e so- no fiera di averlo saputo fare sen- za fiatare. Lì in reparto sentivo che urlavano dal dolore… Quan- do avevo voglia di piangere mi saliva una rabbia… non è giusto soffrire per non aver fatto nien- te, non è giusto che io sia costretta a vivere così”.

L’intero articolo è disponibile sul Corriere in edicola.

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