Quanta Arabia Saudita c’è nel 9/11?

20/07/2015 di Mazzetta

Il governo degli Stati Uniti ha finalmente tolto il segreto sulla parte del rapporto conclusivo sul 9/11 che riguarda il coinvolgimento e le indagini sui sauditi negli attacchi alle torri gemelle e al Pentagono. Purtroppo i documenti rimangono coperti da omissis che li rendono quasi inutili, ma sembrano ribadire che nascondono informazioni che amministrazione, CIA e Pentagono non vogliono ancora rendere pubbliche.

Saudi Prince Turki al-Faisal (R) stands next to the coffin of Prince Saud al-Faisal as it is being unloaded from a plane upon its arrival in Jeddah on July 11, 2015, a few hours before the funeral ceremony held in the Muslim holy city of Mecca. Tributes flowed the previous day following the death of Faisal, the world's longest-serving foreign minister, credited with facing down successive regional crises and forging strong ties with the West. AFP PHOTO / STR (Photo credit should read -/AFP/Getty Images)
Il principe Turki al-Faisal, a destra, al funerale di  Saud al-Faisal, ministro degli esteri saudita negli ultimi 40 anni (Photo credit-/AFP/Getty Images)

IL CONVOLGIMENTO DELL’ARABIA SAUDITA NELL’UNDICI SETTEMBRE –

La domanda principale alla quale per ora le indagini sul 9/11 hanno dato una risposta non conclusiva è se dietro all’attentato ci sia stata la mano o l’ombra di uno o più stati. I complottisti sono ormai sicuri nel sostenere che la mano fu americana, mentre le indagini e molti dati di pubblico dominio sembrano piuttosto puntate verso il Pakistan e l’Arabia Saudita, che ha fornito più dei 3/4 della manodopera. Poi c’è una parte residuale e minoritaria di complottisti in maggioranza musulmani che accusano Israele. Le indagini americane si sono ufficialmente fermate al punto nel quale l’ipotesi di un coinvolgimento saudita è stata esclusa, anche se l’amministrazione Bush non ha mancato di accusare il governo talebano in Afghanistan prima e persino l’Iraq di Saddam poi di aver collaborato all’impresa, senza che prove in questo senso siano emerse da indagini e inchieste. Escluso ogni coinvolgimento iracheno, anche quello afghano rimane a tutt’oggi indimostrato e non solo perché non c’erano afghani tra gli attentatori, 15 dei quali venivano dall’Arabia Saudita, 2 dagli Emirati, uno dall’Egitto e uno dal Libano.

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I TALIBANI SPETTATORI –

Posto che Bin Laden era all’epoca ospite dei talebani, non ci sono comunque prove del coinvolgimento della dirigenza talebana nella preparazione o nell’esecuzione del piano, portato a termine da uomini che provenivano quasi tutti dai paesi del Golfo e in particolare dall’Arabia Saudita. E, com’è normale o forse no, una volta negli Stati Uniti sono entrati in contatto con altri compatrioti, tra i quali almeno un ufficiale di consolato e un religioso, figure pagate dal governo che avrebbero agevolato la loro missione, anche se non in maniera diversa da quella adoperata per assistere altri sauditi in America con intenzioni lecite.

LE INDAGINI SUI SAUDITI –

Le indagini su queste persone sono state incredibilmente limitate e poi definitivamente accantonate una volta che questi sono tornati in Arabia Saudita. Agli americani non è stato permesso d’interrogarli liberamente e nemmeno d’interrogare i parenti degli attentatori del 9/11, si sono dovuti accontentare di quanto hanno riferito loro i sauditi, subito accolti come preziosi collaboratori nelle indagini. Se almeno l’attacco all’Iraq è stato sicuramente sferrato per motivi diversi da una reazione agli attacchi del 9/11 o alla «minaccia» delle armi di distruzione di massa, è altrettanto evidente che all’Arabia Saudita sia stato risparmiato ogni fastidio e persino il peso del sospetto, non solo perché in ottimi rapporti con l’amministrazione Bush, la famiglia Bush ma anche perché da sempre collaborativa con il personale delle agenzie d’intelligence, che dalle operazioni congiunte con i sauditi, o semplicemente dalla loro raccolta d’informazioni, è sempre tornato contento e gratificato in maniera tangibile. La generosità dei sauditi con gli incaricati della loro sicurezza negli Stati Uniti e in generale con i funzionari pubblici è da sempre leggendaria.

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