Alessandro Di Battista: “I terroristi vanno capiti, la loro unica arma è farsi esplodere”

16/08/2014 di Boris Sollazzo

“Isis, che fare?”. Forse Alessandro Di Battista, a leggere il Blog di Beppe Grillo oggi, questa domanda non doveva farsela.

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ALESSANDRO DI BATTISTA, LE RESPONSABILITA’ DELLA CIA – Ha infatti, in un post sul sito del suo leader, tentato di decifrare la crisi mediorientale e in parte la complessa vicenda di una nuova formazione che qui su Giornalettismo abbiamo spesso analizzato, raccontato e vivisezionato. Di Battista, partendo da retaggi ideologici piuttosto antichi, da considerazioni anche giuste e da una discretamente documentata visione storica – non condivisibile per molti nell’impostazione ma piuttosto ammirevole per l’impegno – ha tratto conclusioni che hanno piuttosto scosso la politica assopita dalla pausa ferragostana.

Dal 1920 al 1960 i colpevoli sono Francia e Gran Bretagna, poi è la volta della CIA. Nel pantheon dei nemici, il giovane politico grillino non dimentica nessuno dei nemici storici, dei protagonisti sempreverdi delle teorie complottiste. E proprio riferendosi al servizio segreto statunitense, raccontandone le malefatte, si chiede infine “per quale razza di motivo si provi orrore per il terrorismo islamico e non per i colpi di stato promossi dalla CIA. Destituire, solo per osceni interessi economici, un governo regolarmente eletto con la conseguenza di favorire una guerra civile è meno grave di far esplodere un aereo in volo? L’Iraq, come il Guatemala o il Congo RCD hanno avuto il torto di possedere delle risorse. I poveri hanno il torto di avere ricchezza sotto ai piedi. Il petrolio iracheno è stato il peggior nemico del popolo iracheno”.

ALESSANDRO DI BATTISTA, MATTEI E SADDAM HUSSEIN – Continua raccontando della fine che ha fatto Mattei, reo di aver contrastato gli interessi delle 7 sorelle e del capitalismo americano fondato sull’oro nero, subito dopo quasi rivaluta Saddam Hussein. “Divenne Presidente della Repubblica irachena nel 1979 sostituendo Al-Bakr, l’ex-leader del partito Ba’th che qualche anno prima aveva nazionalizzato l’impresa britannica Iraq Petroleum Company. Saddam, con l’enorme denaro ricavato dalla vendita di petrolio, cambiò radicalmente il Paese. Sostituì la legge coranica con dei codici di stampo occidentale, portò la corrente fino ai villaggi più poveri, fece approvare leggi che garantivano maggiori diritti alle donne. L’istruzione e la salute divennero gratuite per tutti. In quegli anni di profonda instabilità regionale il regime di Saddam divenne un esempio di ordine e sicurezza”.
C’è pure il sospetto che con lui i treni arrivassero in orario, se non fosse che il deserto non aiuta il trasporto su rotaie.
Ma Di Battista rinsavisce e ricorda che il dittatore baffuto non era l’illuminato e caro leader finora da lui raccontato. “Tutto questo ebbe un prezzo. I cristiani non erano un pericolo per il regime e vennero lasciati in pace ma i curdi, vuoi per le loro spinte autonomiste che per la loro presenza potenzialmente pericolosa in zone ricche di petrolio, vennero colpiti, discriminati e spesso trucidati. Lo stesso avvenne agli sciiti che non abbassavano la testa. Quando Saddam gli riversò contro le armi chimiche fornitegli dagli USA in chiave anti-iraniana nessuna istituzione statunitense parlò di genocidio, di diritti umani violati, di terrorismo islamico. Saddam era ancora un buon amico. L’amichevole stretta di mano tra il leader iracheno e Donald Rumsfeld, all’epoca inviato speciale di Reagan, dimostra quanto per gli USA la violenza è un problema a giorni alterni. Negli anni ’80 Washington era preoccupata dall’intraprendenza economica di Teheran e Saddam era un possibile alleato per contrastare la linea anti-occidentale nata in Iran con la rivoluzione del ’79”.

ALESSANDRO DI BATTISTA, LA SUA ROAD MAP PER IL MEDIO ORIENTE – Prosegue con il Bignami degli ultimi vent’anni dello scorso millennio da quelle parti, per poi scatenarsi con il solito 11 settembre. Poi, per fortuna, ci dice cosa si deve fare ora, secondo lui e immaginiamo anche secondo il Movimento 5 Stelle. “L’ISIS avanza, conquista città importanti e minaccia migliaia di cristiani. In tutto ciò l’esercito iracheno, creato e addestrato anche con i soldi dei contribuenti italiani, si è liquefatto come neve al sole dimostrando, se ancora ve ne fosse bisogno, il totale fallimento del progetto made in USA che noi abbiamo sposato senza diritto di parola. E’ evidente che la comunità internazionale e l’Italia debbano prendere una posizione. Se non è semplice scegliere cosa fare, anche se delle idee logiche già esistono, è elementare capire quel che non si debba più fare”. I punti che sciorina, in proposito, sono addirittura otto. “Innanzitutto occorre mettere in discussione, una volta per tutte, la leadership nordamericana. Gli USA non ne hanno azzeccata una in Medio Oriente. Hanno portato morte, instabilità e povertà. Hanno dichiarato guerra al terrorismo e il risultato che hanno ottenuto è stato il moltiplicarsi del fenomeno stesso”. Guarda anche al nostro paese, anche se la sua speranza sembra piú vicina a quella di una concorrente della finale di Miss Italia. “L’Italia, ora che ne ha le possibilità, dovrebbe spingere affinché la UE promuova una conferenza di pace mondiale sul Medio Oriente alla quale partecipino i paesi dell’ALBA, della Lega araba, l’Iran, inserito stupidamente da Bush nell’asse del male e soprattutto la Russia un attore fondamentale che l’UE intende delegittimare andando contro i propri interessi”. Vuole la pace nel mondo, appunto. E anche di piú. “L’Italia dovrebbe promuovere una moratoria internazionale sulla vendita delle armi”. Fa piacere che il giovane e carismatico grillino sopravvaluti tanto il peso politico del suo e nostro paese. Che ha, peraltro, produttori d’armi privati tra i piú competitivi.
Ma è sulle metafore che va forte. “L’Italia dovrebbe trattare il terrorismo come il cancro. Il cancro si combatte eliminandone le cause, non occupandosi esclusivamente degli effetti. Altrimenti se da un lato riduci la mortalità relativa da un altro la crescita del numero di malati fa aumentare ogni anno i decessi. E’ logico!”.
Certo, ora basta mandare Di Battista a parlare con Obama, Netanyahu e tutti i leader del Medio Oriente ed è fatta. Ma non prima che il nostro paese riscriva non solo la Storia, ma anche la geografia. “L’Italia dovrebbe porre all’attenzione della comunità internazionale un problema che va risolto una volta per tutte: i confini degli stati. Non sta scritto da nessuna parta che popolazioni diverse debbano vivere sotto la stessa bandiera. Occorre, finalmente, trovare il coraggio di riflettere su un nuovo principio organizzativo. Troppi confini sono stati tracciati a tavolino con il righello dalle potenze coloniali del ‘900”. Ecco cosa si erano dimenticati tutti i maggiori leader degli ultimi decenni. Forse avevano perso il blocchetto su cui si erano appuntati quest’ordine del giorno. Bastava dirlo, in fondo, cosa ci vorrà mai a ridiscutere le dimensioni del territorio di una nazione e la sua sovranità?
Poi, peró, torna sui terroristi. “Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione. Questo è un punto complesso ma decisivo. Nell’era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. E’ triste ma è una realtà. Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato a distanza io ho una sola strada per difendermi, a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto ne giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un’azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore. Compito difficile ma necessario, altrimenti non si farà altro che far crescere il fenomeno”. E sempre riguardo a questo discorso sottolinea che “occorre legare indissolubilmente il terrorismo all’ingiustizia sociale”. Chiude, tornando nel nostro paese. “L’Italia dovrebbe cominciare a pensare alla costruzione di una società post-petrolifera. Il petrolio è la causa della stragrande maggioranza delle morti del XX e XXI secolo. Costruire una società post-petrolifera richiederà 40 anni forse ma prima cominci prima finisci. Non devi aspettare che il petrolio finisca. Come disse Beppe Grillo in uno dei suoi spettacoli illuminanti: «L’energia è la civiltà. Lasciarla in mano ai piromani/petrolieri è criminale. Perché aspettare che finisca il petrolio? L’età della pietra non è mica finita per mancanza di pietre».”.

Facile no?

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