Adozioni in vicinanza

C’è alla tele questo spot su questa iniziativa che si chiama “adozioni in vicinanza” (www.adozioninvicinanza.it). Praticamente si può aiutare un bambino povero in Italia con il sistema delle adozioni a distanza: dai 15 euro al mese e il bambino può mangiare, avere i pannolini e andare all’asilo. L’iniziativa è nobile e merita grandissimo rispetto, ma proprio la sua nobiltà fa capire in quale abisso questa associazione ha visto e ora mostra anche a noi. Lo spot è così: c’è un bambino felice all’asilo perché i suoi se lo possono permettere e un altro in casa che gioca da solo in un angolino perché il suo papà ha perso il lavoro (immagino sua madre sia altrettanto disperata) e per i suoi è un lusso inserire il proprio figlio nella società. Così lui cresce senza stimoli, senza amici, senza un cambio di pannolini igienico e senza un’alimentazione decente. Ma ci rendiamo conto? Non è sconfortante che qui, nel nostro paese, ci siano un milione di bambini che vivono sotto la soglia di povertà? Non è il segnale del fallimento di uno stato sociale? Perché le nostre tasse non vengono utilizzate per aiutare a crescere questi bambini? Io voglio che vengano usate anche per queste cose e a cosa serve uno Stato se non per servire i suoi figli più piccoli e indifesi?

PERCHÈ DI NO – A me personalmente questo spot va venire voglia di spararmi o di insultare qualche politico che ha gestito la cosa pubblica senza alcun senso della prospettiva e anche di riempire di contumelie chi prende tutto quello che può prendere dallo Stato e dalle istituzioni senza pensare al futuro. Non ritengo accettabili frasi del tipo “Visto che è possibile avere questa agevolazione in più perché non approfittarne?”, “Visto che questo esame clinico alla mia età è gratuito perché non devo farlo?”, “Anche se questa cosa non mi serve, visto che posso averla perché non devo prenderla?”. La risposta a tutte queste domande è “Perché di no!” Perché non è corretto arraffare tutto quello che si può, perché bisogna imparare a limitarsi, ad autocensurarsi. Perché non possiamo più spremere tutto ciò che possiamo spremere fino all’ultima goccia. Perché dobbiamo imparare a rinunciare a qualcosa se vogliamo che le cose vadano meglio. È così, dobbiamo imparare a rinunciare a qualche diritto, per fare il nostro dovere nei confronti di chi verrà dopo di noi, anzi di chi è già qui ma non arriverà mai da nessuna parte se noi occupiamo tutto il suo spazio vitale con le nostre esigenze.

FACCINE E MANINE – Dobbiamo rinunciare a qualcosa perché agli altri potrebbe non restare niente. E gli altri non sono un’entità indefinita come preferiamo credere. Gli altri hanno una connotazione precisa, hanno dei volti e un aspetto. Anzi hanno delle faccine e delle manine, perché sono la generazione entrante, sono la nuova generazione a perdere. Ma che paese siamo che lasciamo i bambini in un angolo, sapendolo? Che posto siamo che a 14 anni un ragazzino che deve fare una visita deve pagare e invece c’è tutta una fetta della popolazione esente quando invece potrebbe permettersi di pagare il ticket? Possiamo continuare a fare finta di non saperlo, ma stiamo smantellando gli asili nido, le scuole dell’infanzia, le scuole elementari e le medie. Le scuole non hanno soldi per fare attività, non hanno soldi per tenere i ragazzi il pomeriggio, così come non ci sono soldi per servire alle mense scolastiche cibi che non siano sottomarche. Ma mica le sottomarche buone, quelle cattive. Lo sappia chi non ha ancora figli e che si considera una generazione dimenticata: i loro figli staranno pure peggio. Da qui a poco (diciamo pure anche adesso) non ci saranno laboratori né stage che non siano affidati alla bontà delle insegnanti che forniranno gratis il loro tempo. La precarietà della scuola non sta solo nella situazione degli insegnanti, sta nella struttura della scuola stessa, di ogni ordine e grado.

SCUOLA DELL’OBBLIGO, LIBRI COSTOSI – Ma torniamo al bambino dello spot delle adozioni in vicinanza, uno del milione di bambini che vivono in condizioni di povertà nel nostro paese. Pensiamolo alle elementari, dove almeno avrà i libri gratis anche se avrà difficoltà per il materiale e per pagare la mensa scolastica. Pensiamolo alle medie, che sono la scuola dell’obbligo ma i libri te li deve pagare tu (e sono pure tanti e cari) e il materiale pure. E qui ci fermiamo, perché come possiamo sperare che questo ragazzo riesca ad andare alle superiori? Come si pagherà l’apparecchio per i denti? Come si pagherà le visite per la scoliosi o quant’altro una volta che avrà compiuto 14 anni? Che tipo di generazione sarà questa che sta cominciando già tanto svantaggiata? Non piena di gratitudine nei confronti delle generazioni precedenti.

FUTURINO PICCOLINO – Molti genitori parlano di mandare i figli all’estero. Anch’io lo farò, se loro vogliono non esiterò un attimo. Con grandi sacrifici, tutti quelli che servono, cercherò di proiettarli verso il futuro, in qualsiasi posto del mondo esso si collochi per loro. Sarei altrettanto felice se decidessero di restare e vorrei anche che per loro ci fosse qualcosa qui, se chi, avendo avuto la possibilità di prendere, non si sarà preso tutto. Ma non mi basta. Non si può pensare soltanto al proprio futuro e nemmeno a quello dei propri figli soltanto. Il futuro è una proiezione in avanti che deve comprendere una comunità, altrimenti non è il futuro come visione di ciò che arriva dopo ma un futurino piccolino e meschino. Nel futuro devono essere compresi i bambini che andranno e quelli che non potranno andare via, devono esserci tutti, anche perché nessuno di noi può sapere quale di questi bambini inventerà un vaccino o viaggerà nello spazio o diventerà un grande chef. Quello che sappiamo è che, nel momento in cui abbandoniamo dei bambini con il pannolino sporco soli in un angolo, ci macchiamo di una grave colpa. Dobbiamo provvedere subito a questi bambini, non nel futuro ma proprio adesso, in ossequio a un concetto espresso un paio di millenni fa da Seneca: “Dipenderai meno dal futuro se avrai in pugno il presente”.

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