Achille Lollo, il “pentito” che ritorna per confessare i crimini altrui

Storia di un rogo, di due morti di dieci e ventidue anni e di un assassino che riappare sul luogo del delitto


Bontà sua, Achille Lollo ritorna in Italia. Dopo essersi salvato grazie a una repetina fuga in Brasile e alla prescrizione da una condanna a 18 anni di reclusione sarà interrogato lunedì mattina dai magistrati di piazzale Clodio. Assistito dall’avvocato Mancini, verrà ascoltato dal pm Luca Tescaroli per il fattaccio del rogo di Primavalle, avvenuto alle tre di notte del 16 aprile 1973.

AL ROGO, AL ROGO – Quel giorno al terzo piano delle case popolari di via Bernardo da Bibbiena divampò un incendio che distrusse rapidamente l’intero appartamento di Mario Mattei, di professione netturbino ma anche segretario della sezione Msi di Primavalle. Due dei figli, Virgilio di 22 anni, militante missino, e il fratellino Stefano di 10 anni morirono carbonizzati, non riuscendo a gettarsi dalla finestra. Il dramma avvenne davanti ad una folla che si era accumulata nei pressi dell’abitazione, e assistette alla progressiva morte di Virgilio, rimasto appoggiato al davanzale,e di Stefano, scivolato all’indietro dopo che il fratello maggiore che lo teneva con sè perse le forze.

RIVENDICAZIONE? – Nel cortile della casa di via Campeggi la polizia trova un foglio a quadretti con la scritta“Brigate Tanas – guerra di classe – morte ai fascisti – la sede del Msi Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria”. Scattano le perquisizioni ai militanti dell’estrema sinistra. In casa di Achille Lollo, militante di Potere Operaio, viene rinvenuta una lista di proscrizione di militanti della destra da punire, tra i quali c’è proprio Mattei. Un altro netturbino, ma con la propensione ad alzare il gomito, dice al magistrato Domenico Sica, che si occupa del caso, che Lollo la sera prima stava insieme a Marino ClavoManlio Grillo (altri due militanti di PotOp): partono i mandati di cattura per tutti e tre: solo il primo, già in custodia, finisce dentro; gli altri due scappano. Clavo, uno dei tre arrestati, dalla latitanza rilascia un’intervista a “L’Espresso” nella quale fornisce un alibi: quella sera era con Diana Perrone, figlia del direttore del “Messaggero”, e un certo Paolo Gaeta, anch’essi militante di PotOp.Ma la PerroneGaeta prima confermano, poi ritrattano davanti al magistrato. PotOp li espelle dal movimento per ignominia. Si sono venduti alle guardie, è l’accusa, per incastrare un innocente. L’opinione pubblica viene definitivamente convinta dal Messaggero, che si schiera sulla linea innocentista. Il motivo? A parte il caso Perrone, il giornalista del quotidiano Ruggero Guarinispiegò che all’epoca Stefania RossiniLanfranco Pace (poi collaboratore del Foglio e conduttore di “Otto e mezzo” su La7) vennero da lui e gli dissero“Credi davvero che ragazzi intelligenti, colti, preparati come noi, dei marxisti seri che leggono i Grundrisse di Karl Marx possano individuare in un povero netturbino, segretario della sezione del Msi di Primavalle, un nemico di classe?”.

GIUSTIZIA E’ SFATTA – A effettuare l’attentato invece furono proprio quei tre. Nel 1986 l’Appello li condanna a 18 anni, ma non per strage: per incendio doloso e duplice omicidio colposo, la Cassazione conferma. E loro, candidamente, lo ammettono, anche se dicono che in realtà non volevano uccidere ma soltanto spaventare. Cinque litri di benzina magari avanzano, per spaventare, ma i giudici ci credono, e questo permette di estinguere la pena per intervenuta prescrizione. Ma soprattutto: è appurato che PotOp non venne messo nel sacco dai suoi militanti. I suoi dirigenti, quelli che citavano i Grundrisse per convincere i cronisti dell’innocenza dei compagni, sapevano che invece erano colpevoli. Valerio Morucci aveva rintracciato Clavo subito dopo la fuga e gli aveva puntato una pistola alla testa per farsi dire la verità, e questi aveva vuotato il sacco. Già nell’aprile 1973. Tutto il resto fu il risultato di una strategia di depistaggio degna di quelle che, a ragione, si accusavano i servizi segreti di fare all’epoca. Piperno, che oggi si barcamena tra un libro sul ’68 e una dichiarazione di denuncia della “religione laicista” (“Se l’ateismo diventa la religione di Stato, allora meglio tenerci il cattolicesimo”), sapeva. Pace, che scrive pensosi libri su Sarkozye dirigeva programmi televisivi nei quali esecra giustamente il terrorismo islamico, sapeva. Oreste Scalzone, che con PipernoToni Negri aveva fondato PotOp e ha dichiarato di aver aiutato ClavoGrillo a fuggire, sapeva. Tutti sapevano. E hanno sistematicamente disinformato, trovando terreno fertile in una pubblicistica che non vedeva l’ora di credergli.

S’E’ SVEJATO – La pena è stata dichiarata estinta per intervenuta prescrizione dalla Corte d’Appello di Roma. La fuga all’estero ha permesso comunque ai tre di non scontare mai di fatto l’intera condanna. Lollo, in una intervista al Corriere della sera nel febbraio del 2005, oltre ad ammettere le sue responsabilità rispetto all’attentato di Primavalle, coinvolse nella vicenda anche Diana Perrone, Elisabetta Lecco e Paolo Gaeta, che sino ad allora non erano mai stati indagati. La ricostruzione offerta da Lollo, rispetto al ruolo giocato dagli altri aderenti a Potere Operaio, è stata messa in dubbio anche dagli altri condannati per l’attentato. C’è un nuovo processo, con la giusta imputazione (strage). Paolo Gaeta, Diana Perrone e Elisabetta Lecco sono stati iscritti dalla procura di Roma nel registro degli indagati: per questo reato non si applica la prescrizione. Lollo ritorna. Per confermare la sua versione? Se così fosse, in questo modo manderà a processo gli altri, mentre lui probabilmente non può essere più toccato. Chissà perché, ma questo ritorno sa tanto di presa per il culo.

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