A cosa serve davvero la pena di morte

Si tratta in teoria di una questione abbastanza netta, che però sfuma quasi sempre quando s’arriva al caso concreto.

NON C’È RAGIONE PER LA PENA DI MORTE – Ci sono pochi punti fermi sulla questione della pena di morte, ma abbastanza da sostenere le posizioni abolizioniste con più argomenti razionali di quanti non ne possano esibire i forcaioli. Il primo è sicuramente quello per il quale la pena di morte non è un deterrente contro il crimine. “Vedrai che poi non lo fa più” è un ragionamento formalmente corretto quanto ingannevole, eliminare i criminali non serve ad eliminare il crimine.

MODERNITA’ VS MEDIOEVO – Non per niente si tratta di un’evidenza forse contro-intuitiva che il genere umano ci ha messo secoli a pesare e stimare, ma ormai sono disponibili abbastanza dati per poter affermare tranquillamente che la pena di morte non serve più del carcere o altre sanzioni a scoraggiare le persone dal commettere crimini, semmai chi commette crimini sanzionati con la pena capitale sa di non avere nulla da perdere e quindi nessuna remora a compiere ulteriori delitti.

LA SUA UTILITA’ RESIDUA – Se è del tutto inefficace come deterrente, è invece abbastanza efficace per soddisfare i bassi istinti di buona parte delle opinioni pubbliche, che anche in paesi abolizionisti come il nostro spesso invoca la messa a morte dei criminali con impeto maggioritario. Adorata dai regimi autoritari, si fa apprezzare anche nei democratici Stati Uniti, dove la mentalità della legge del taglione per molti è adesione alla parola di Dio, esattamente come lo è in molti paesi islamici.

 

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L’INDUSTRIA DELLA MORTE – L’idea di eliminare i criminali e gli sbagliati ha sempre avuto molto successo ovunque, eugenetica e pena di morte in fondo si assomigliano e trovano il loro nutrimento nell’idea che una società possa evolvere e migliorare semplicemente eliminando gli inadatti, i dissidenti e i criminali, idea che durante il ‘900, secolo efficientista per definizione, ha avuto egregi interpreti a destra come a sinistra che ne hanno elevato la pratica a dimensioni industriali. Oggi che si è compreso la sua fondamentale inutilità pratica e che serve solo a drogare di false sicurezze le classi dominanti e un ristretto numero fanatici, sono rimasti pochi i paesi che ancora vi fanno affidamento, e sono quelli nei quali la cultura della pena di morte ha tardato di più ad essere messa in discussione a causa dell’enorme distanza culturale di quei paesi dalle tesi abolizioniste.

I DUBBI SUI SINGOLI CASI – Resta il fatto che le divisioni ideologiche non sono così nette e salde, nell’uno e nell’altro campo covano incertezze, spesso risolte da considerazioni che hanno ben poco a che fare con la convinzione di sponsorizzare la soluzione migliore per la collettività. Succede nel caso di tutti quei politici che appoggiano la pena capitale per raccogliere i voti di quanti ancora sono culturalmente immaturi per accettare la complessa realtà di questioni che non si possono risolvere tanto drasticamente e, tutto sommato, facilmente. Hanno dei dubbi i sostenitori della pena di morte quando si arriva a casi discutibili come le condanne di minori o di minorati, per non dire quando si scoprono gli errori giudiziari e ormai i condannati riposano al cimitero, ma per lo più li risolvono considerando i casi del genere come imperfezioni sopportabili, anche se poi sollevano le condanne di numerose istituzioni internazionali e non giovano all’immagine del paese. Un paradosso ancora maggiore se si considera che le esecuzioni negli Stati Uniti sono appena una quarantina all’anno, il che vuol dire che si uccide un capro espiatorio per stato all’anno. Perché una pratica del genere non può avere altra funzione che il sacrificare la vita di una persona, presa più o meno a caso, sull’altare dell’ideologia, quasi un sacrificio umano offerto periodicamente dai governatori alle aspettative dell’elettorato di riferimento.

QUELLI DEI BUONI SENTIMENTI – Ancora più incerti sono molti nel fronte abolizionista, che spesso e volentieri si ritrovano a invocare la morte di questo o di quello. Una citazione a parte meritano le persone tanto di buon cuore ed empaticamente vicine agli animali che quando si arriva a storie di persone che maltrattano gli animali insorgono chiedendo per loro le atroci torture e poi anche la morte, che da sola non sembra bastare per chi sevizia un animalino. Fenomeno che esplode nel caso di reati contro i bambini, che innescano un clima da linciaggio al quale neppure buona parte degli abolizionisti si sottrae.

NIENTE DI STRANO – Questo genere di apparenti idiosincrasie sono invece coerenti con la grande ignoranza delle questioni e delle riflessioni sulla pena che sono maturate dalla rivoluzione francese in poi e che, pur avendo visto un’evoluzione ideale da Beccaria ai giorni nostri, non sono mai state trasmesse con troppa convinzione e impegno alle cittadinanze che da tempo si formano attraverso il consumo di prodotti mediatici nei quali l’uccisione del cattivo è inevitabile quanto rituale. Non per niente negli Stati Uniti dopo la strage al cinema di Denver nessuno si è alzato a chiedere che “il mostro” non sia condannato a morte, un bianco armatissimo che commette una strage d’innocenti non è tatticamente un soggetto da cavalcare e difendere dalla pena capitale, anche se essendo una questione di principio bisognerebbe battersi per evitare anche la sua condanna. Come ovunque bisognerebbe per difendere dalla pena capitale anche gli autori di altri delitti odiosi. Un deficit culturale che in Norvegia ad esempio non esiste e quindi non ha richiesto simili prezzi da pagare in occasione della strage di Utoya, avendo i norvegesi hanno abolito anche l’ergastolo per le stesse considerazioni per le quali hanno abolito la pena di morte ed essendo queste considerazioni ben presenti e condivise tra la popolazione.

L’USO STRUMENTALE DELLA QUESTIONE – La natura squisitamente culturale del tema appare ancora più evidente quando si osservi l’uso che ne fanno i diversi paesi in politica estera. Uno dei paesi più critici con la Cina, fino all’anno scorso leader nelle esecuzioni capitali, sono proprio gli Stati Uniti, che ne rinfacciano il gran numero dall’alto di un pulpito ai piedi del quale ci sono le vittime delle esecuzioni statunitensi. Una strumentalizzazione che è terminata quando una corte Cinese ha decretato una moratoria di due anni delle esecuzioni. Una decisione che, combinata con la norma che nel codice cinese prevede che la pena capitale non eseguita entro due anni dalla condanna, si tramuta in ergastolo, ha di fatto graziato quasi tutti i condannati in attesa d’esecuzione e anche molti dei futuri condannati, sempre che la moratoria non sia rinnovata. Una decisione accolta da un marmoreo silenzio in Occidente, poco interessato ai progressi dei cinesi nel campo dei diritti umani, molto più interessanti  sono le loro infrazioni.

STRUMENTALIZZANO TUTTI – La pena di morte, diventa occasione per regolare i conti tra paesi ostili, si contano i morti degli altri e si sceglie questo o quel caso da strumentalizzare e da usare come un martello contro il nemico. È accaduto con il famoso caso dell’iraniana Sakineh, scelta tra decine di condannati a morte per una lunga campagna contro il crudele governo iraniano. Non accade per altre condanne a morte, spesso ignobili come quelle che nella vicina Arabia Saudita sono comminate ai colpevoli di “stregoneria“, un delitto che nel resto del mondo non esiste non scandalizzano l’Occidente come quella di Sakineh, ma non scandalizza neppure i dirimpettai iraniani, che invece in questi giorni s’indignano e protestano per la condanna a morte di numerosi sauditi sciiti, colpevoli solo di aver protestato contro il governo, attività che pure in Iran è vista malissimo dalle autorità. Streghe e stregoni possono morire anche se innocenti, ma gli sciiti no, almeno per gli iraniani, che per parte loro mandano a morte gli oppositori suscitando scandalo e in altri raccolgono addirittura il plauso sotterraneo delle opinioni pubbliche occidentali.

CASI DI SCUOLA – Casi come quelli degli spacciatori, messi a morte in diversi altri paesi, d’abitudine impiccati o il recente caso dei banchieri responsabili di un grande scandalo finanziario condannati a morte, sembrano fatti apposta per eccitare i sostenitori della pena di morte, che però in Occidente sono anche i principali bersagli della propaganda guerrafondaia che da anni viene propinata alle opinioni pubbliche, una campagna che si può dire che duri almeno dalla presa del potere da parte di Khomeini. L’ipotesi che nel Midwest qualcuno possa apprezzare le decisioni del regime iraniano deve far correre un brivido lungo la schiena di quanti lavorano da anni per dare all’Iran l’aspetto di un paese pericolosissimo e popolato da persone che fanno riferimento a un sistema di valori agli antipodi del nostro. Ancora di più se poi il consenso si coagula attorno all’idea d’impiccare dei banchieri, che in Occidente godono di particolari protezioni e salvacondotti che di solito permettono loro di evadere con facilità condanne altrimenti severe, anche dopo aver commesso reati gravissimi, eticamente odiosi e recato danni a platee enorme di persone.

TUTTI BARBARI UGUALI – Chi, in qualsiasi occasione, sostiene la pena di morte (o ancora peggio la tortura), oggi lo può fare solo perché accecato dall’ideologia, dall’ignoranza o perché è abbastanza ipocrita da assecondare i fan della pena capitale per trarne vantaggi personali. Ipocrisia ancora più evidente quando gli alfieri della pena di morte si esibiscono in accuse verso altri alfieri della pena di morte, perché le condanne capitali sbagliate, atroci e immorali sono sempre quelle degli altri. Non c’è  invece differenza nella barbarie di chi manca di rispetto per la vita degli altri, qualunque motivo lo spinga a considerare che sia giusto privare della vita un essere umano.

 

 

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