TFF34, Roberto Bolle: “Il cinema? Magari, con Paolo Sorrentino”

ROBERTO BOLLE PAOLO SORRENTINO –

Sorridente, perfetto, bellissimo. Roberto Bolle è come te lo immagini quando, senza curarsi dei suoi 41 anni, vola con quel corpo perfetto su coreografie classiche e moderne come se fosse un dio. Lui, nato nell’alessandrino e cresciuto a Trino, nel vercellese, ora incontra Torino e il Torino Film Festival per l’anteprima del documentario che la critica Francesca Pedroni gli ha dedicato, Roberto Bolle – L’arte della danza. A margine della presentazione del film alla rassegna cinematografica diretta da Emanuela Martini, la più importante in Italia dopo Venezia, lo abbiamo intervistato. E con un sorriso largo e forse anche un po’ imbarazzato ci confessa che sì, tra i suoi sogni nel cassetto per il futuro, c’è anche il cinema.

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Guarda l’intervista esclusiva di Giornalettismo a Roberto Bolle

ROBERTO BOLLE INTERVISTA –

Presentando Roberto Bolle – L’arte della danza, il ballerino si è aperto in una confessione a tutto tondo, soprattutto sul ruolo centrale che sente nella diffusione dell’arte che tanto ama. “Questo documentario è uno spaccato particolare della mia vita, del tour di Bolle & Friends, e sono felice che con il cinema possiamo allargare il pubblico della danza, che così è sempre più fuori dai teatri: un passaggio fondamentale per far sì che non rimanga dentro un circolo chiuso, solo per le élites: è da sempre uno degli obiettivi della mia carriera renderla aperta a tutti. E’ il desiderio che è sempre stato alla base Bolle & Friends, con coreografie inusuali quanto i miei compagni di viaggio. Questo gala ho potuto portarlo in tanti luoghi simbolo del patrimonio artistico e culturale italiano, potendo non solo coinvolgere più gente possibile ma anche su palchi unici al mondo. E lo stesso vale per questo bellissimo documentario. Non a caso abbiamo scelto di prendere Pompei, Caracalla e L’Arena di Verona come location del lungometraggio, e l’abbiamo fatto perché conservano una magia intrinseca e maestosa”. Sempre molto controllato e decisamente attento a tutelare e tenere scisse la sua immagine pubblica dal privato, qui invece si lascia andare anche al dietro le quinte. “C’è un immagine di me diversa. Più intima, privata, dalla preparazione ai momenti di rilassamento. Sono contentissimo che la regia l’abbia fatta Francesca Pedroni, che mi ha visto quando ero bambino e ha tirato fuori qualcosa di speciale da tutto questo lavoro per il suo amore per la danza e per la conoscenza che ha di me”. La stessa critica e giornalista, che per Classica aveva già collaborato a un bellissimo profilo della star della danza, confessa di essere rimasta sorpresa da quello che ha scoperto. “L’ho sempre seguito da giornalista, negli anni, eppure quando abbiamo lavorato insieme ho capito molto di più di lui. Dieci giorni insieme, in simbiosi, sono una cosa diversa da anni di frequentazione professionale. A Pompei, con tutta la troupe a cena, lui non c’era: provava, al buio, a provare e saltare, concentrato nella sua variazione. A mezzanotte. Lì ho capito: ecco perché l’intervista a Caracalla l’abbiamo fatta a quell’ora. In questo viaggio cinematografico e umano ho capito chi è Roberto Bolle e soprattutto perché lo è. Si allena, sempre. E se non lo fa, guarda se tutto va bene”.

La sua determinazione, la sua voglia di essere il migliore, la sua dedizione alla danza escono potenti e prepotenti da questa immagine. Senza incrinature. “Momenti di sconforto? No, direi di no, non ne ho avuti, al di là degli anni difficili della scuola della Scala di Milano. Avevo 12 anni, tanta nostalgia di casa e della famiglia. Sono piemontese e allora fui catapultato, neanche adolescente, in un’altra città. Sono stati anni difficili e conflittuali. Quando ho capito, però, che la danza sarebbe entrata per sempre nella mia vita, è stato tutto più facile. Il successo non mi ha travolto, è arrivato passo dopo passo, anche grazie a scelte giuste ed equilibrate che mi hanno consentito, con i valori forti e saldi della danza, con la devozione che pretende, di non perdermi mai. E’ una scuola di vita a cui mi sono formato fin da bambino, la danza ha forgiato il mio carattere con i sacrifici quotidiani e la volontà ferrea che pretende. E sarò felice se questo passerà dal film, soprattutto ai giovani spettatori. Non devi mai, mai pensare di essere arrivato”. Ovvio che essendo un classe 1975, pensi anche al futuro, ad allargare l’orizzonte. “La danza è un’arte, ma con una forte componente atletica, costringi il tuo corpo a superare i propri limiti. Voglio danzare finché potrò, ma anche iniziare un percorso parallelo di scouting e direzione artistica, sono molto affascinato da questo aspetto del mio lavoro”.

Roberto Bolle però si dichiara anche un grande appassionato di cinema. “Ovvio che io abbia amato molto Pina di Wim Wenders, tra i film sulla danza è un capolavoro, restituisce la potenza della scuola e dello stile della Bausch, e lo fa come se tu spettatore fossi presente, sul palco: l’unione della bellezza della danza con quella dei luoghi in cui la portiamo è una magia unica e la provi con quel 3D e quella regia. Entra nelle emozioni vere. Per il resto spazio molto: ultimamente ho apprezzato molto Il Ponte delle spie di Spielberg, Lo chiamavano Jeeg Robot di Mainetti, Carol di Haynes”. E, come confessa (solo) a Giornalettismo, non esclude di fare l’attore. “Perché no? Non ho pensato a un regista in particolare con cui mi piacerebbe lavorare”. E quando gli suggeriamo Paolo Sorrentino, si apre in un sorriso radioso, forse arrossisce un po’ e si lascia andare a un “magari”.

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