Meglio cameriere in Irlanda che giornalista in Italia

“No, non tornerei. Inutile girarci intorno, si va dove c’è il lavoro, e in questo momento in Italia il lavoro non c’è, sopratutto al sud e sopratutto nel mio settore”. Sono solo alcune delle frasi raccolte da giovani italiani ora sparsi nel resto del mondo. Due lauree alle spalle, tanti sogni infranti in colloqui andati male o in ambienti da 500 euro al mese. Sono questi gli ingredienti di chi tenta il salto all’estero. Età media over 25, tanti “riprovo” con contratti a progetto lungo lo stivale e conferme che non arrivano. Il paese li perde ogni anno. Non solo, con loro perde anche i milioni di euro che potrebbero rientrare se rimanessero a lavorare qui a casa loro.

Berlin Draws Summer Tourists

DATI DA PERDERE – Secondo l’Anagrafe della popolazione Italiana Residente all’Estero (Aire), i 20-40enni italiani emigrati sono passati da 27.616 del 2011 a 35.435 nel 2012. A scappare di più sono i trentenni. Gli uomini che preparano la valigia sono il 57 per cento, contro la percentuale femminile che si ferma al 43. A livello regionale, la Lombardia è il posto che sforna più emigrati italiani: ben 13.156 lombardi, davanti ai veneti (7456), ai siciliani (7003), ai piemontesi (6134), ai laziali (5952), ai campani (5240). I-Com, istituto per la competitività ha provato nel 2011 a stilare una serie di perdite economiche in un report. La mancata occupazione del 27 per cento dei giovani disoccupati italiani tra i 15 e i 24 anni secondo l’istituto “comporta una perdita in termini di reddito netto potenziale mancato di 5 miliardi di Euro all’anno”. Non solo, analizzando il saldo negativo tra immigrati ed emigrati laureati tra i 20 ed i 34 anni, si può stimare una perdita netta di reddito annuale pari a 760 milioni di Euro. Cifra che indurrebbe ad una diminuzione annua del PIL “pari a 1,2 miliardi di Euro” e “minori entrate fiscali per 524 milioni di Euro”. Se l’Italia avesse lo stesso saldo della Germania, “potrebbe veder aumentare il proprio reddito disponibile di 13 miliardi di Euro, con un impatto sul PIL di 20 miliardi di Euro e un aumento delle entrate fiscali di 9 miliardi di Euro”. Per Confimpreseitalia la perdita (2011) ammonterebbe a ben 5 miliardi e 915 milioni di dollari.

guarda i numeri:

(Dati I-com)

BLOG DI BORDO – In rete si trovano centinaia di testimonianze. Da Italoemigranti al recente Io torno se.  Ad ideare quest’ultimo blog è Antonio Siragusa, giornalista. “Mio fratello – racconta – due miei cugini, quasi tutti i miei amici più stretti studiano o lavorano all’estero. Il Paese sta perdendo, ormai da anni, le sue energie migliori. Tuttavia, parlando con loro, ho notato che spesso questi ragazzi espatriati tornerebbero in Italia se ci fossero più opportunità. Ho quindi voluto raccontare le loro storie e offrire dei punti di vista sull’Italia per il cambiamento. Il mio blog è una sorta di manifesto collettivo degli ‘expat”. Il sito si divide in due sezioni: “Una raccoglie le ‘storie’ degli espatriati, che scrivo io dopo aver parlato con loro su skype. Un’altra sezione, invece, da’ spazio alle testimonianze spontanee che arrivano all’e-mail della redazione (iotornose@gmail.com). All’inizio ho raccontato le storie dei miei amici all’estero. Adesso sono gli stessi frequentatori del blog che mi scrivono, chiedendo di raccontare la loro esperienza. Finora ho parlato di artisti in Francia, di ricercatori negli Stati Uniti o in Svizzera, di lavoratori nella Spagna in crisi o nella Cina del boom economico, di giovani cardiochirurghi di successo, di donne che chiedono un impegno attivo dei giovani nella politica o che raccontano di essere andate via per non dover fare un figlio dopo i 40 anni”. Ogni storia è un mondo a sé ma ci sono alcuni punti in comune: “Da un lato – spiega Antonio – c’è la malinconia e la rabbia per un Paese che non riesce a scuotersi dal torpore, dalla mancanza di opportunità lavorative e dalla corruzione. Dall’altro emerge però la speranza di un cambiamento e credo che questo sia il messaggio più importante del blog: voglio concentrare l’attenzione sulle possibilità di un’Italia rinnovata. Non mi piace chi non è propositivo e getta solo fango. Il punto è che in Italia non c’è uno scambio tra chi va via e chi viene da noi a cercare lavoro qualificato”. Una piaga che ora sembra tornare sotto i riflettori dei media: “Credo però di aver colto nel segno sia perché il tema è molto caldo. Noi cerchiamo di raccontare il ritorno, non solo la partenza o la fuga. Ovviamente la formula “Io torno se” è anche una sorta di provocazione mia, perché in molti casi questi ragazzi sanno che ora tornare, dal punto di vista del trattamento economico e lavorativo, è una follia”.

HOTEL MARBELLA – Alessandro è di Bologna, ha 25 anni. Vive in Spagna da quando ne ha venti. Ora si trova esattamente a Marbella, frequenta lì il terzo anno di università: “Un università svizzera privata con una sede in Spagna chiamate Les Roches. Questo perché in Italia non esiste la mia specializzazione che sto frequentando: Bachelor in Business Admistration in Hotel Management in Resort, Spa & Golf”. Il ragazzo, dopo la scuola alberghiera, ha lavorato presso un hotel molto importante di Bologna. “A 20 anni – racconta – quando è scaduto il mio contratto ho deciso di fare le valigie e muovermi in Canada a Toronto (Ontario) per tentare la mia avventura oltreoceano. Lì sono rimasto per circa due anni. Ho lavorato come Valet Manager (parcheggiatore di auto presso un 5 stelle lusso)”. Durante quel periodo il giovane ha cercato la promozione come reception agent ma il suo diploma non era abbastanza idoneo agli standard canadesi. “Così ho deciso di rimettermi in gioco e tentare un laurea. Dal Canada avevo cercato un corso in Italia ma purtroppo nessuna università italiana proponeva nessun corso adeguato alle mie esigenza finché ho pensato: le migliori scuole alberghiere sono svizzere perché non provare lì. E così dopo varie ricerche e colloqui con gli scout del Nord America ho trovato questa scuola svizzera con una filiale in Spagna. E da li mi sono mosso”. “Il fatto di andare via Italia non è stato per motivi di lavoro o perché mi avevano licenziato, l’hotel mi avrebbe tenuto più che volentieri, è stata una mia decisione basata sul fatto che nell’hostelleria l’inglese è tutto e siccome in Italia non avrei potuto imparare l’inglese come sul posto ho fatto questa scelta”. Il settore alberghiero visto con gli occhi del mondo ha tutto un altro sapore: “In Italia ci sarebbe molto da cambiare. In primis ci vorrebbe un Ministero del Turismo con un suo portafoglio e autonomo. Secondo, marketing, ci vuole un sacco di marketing. Mi ricordo quando vivevo in Canada, dalla metro fino ai supermercati, era tutto pieno di pubblicità sulla Spagna come luogo di vacanza, ma del marchio Italia, se non per abbigliamento o case automobilistiche, nemmeno l’ombra. Poi ci vorrebbe la cassa integrazione per il settore alberghiero, cosa che manca da sempre. Non solo, serve una apertura maggiore alle catene alberghiere, con una snella burocrazia e incentivi ad aprire alberghi internazionali che finora sono una fascia di nicchia in Italia come Four Season, Mandarin Oriental o Ritz Carlton ma anche Merriot o Accor”. Le idee frullano i pensieri anche. Ad Alessandro manca la cucina di casa e non solo: “Alla fine di ogni giornata però la cosa che mi manca di più e sedermi a cena con la famiglia e chiacchierare su come è andata la giornata a lavorare e a commentare le notizie del telegiornale. Ricordo il mio primo Natele da solo in Canada collegato per Skype con la mia famiglia, loro a cena e io a pranzare”.

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SOTTO IL CIELO DI IRLANDA – “Sono a Dublino all’incirca da sei mesi” a raccontarci la sua storia è Ivan, 28 anni originario di Salerno. Due lauree alle spalle. Ha appena staccato da una giornata pesante di lavoro. Le prime difficoltà erano tutte legate alla lingua, così il ragazzo si è iscritto ad un corso e viveva presso una host family. “Solo – racconta – che avevo bisogno di un lavoretto per sostenere le ingenti spese. Non è stato affatto facile perché la città nei primi mesi dell’anno è in letargo e perché qualsiasi azienda, ristorante o pub pretendevano una conoscenza fluente dell’inglese”. Molla il corso perché troppo costoso, continua a cercare impiego ed opta per la convivenza con irlandesi, imparando così da solo la lingua. “La svolta – racconta – c’è stata proprio mentre pensavo di tornare a casa demoralizzato, sconfitto e con le tasche bucate. In aprile ho avuto un’opportunità come cameriere in un albergo cinque stelle extralusso, un leading hotel. Fantastico al solo pensiero, ma il lavoro è massacrante e a tratti umiliante (non li capisco quando parlano e ovviamente mi sento la persona più inutile e stupida al mondo). Metto qualche soldino da parte. Qui il lavoro più umile è pagato 8,65 euro all’ora. Per un lavoro da laurea il minimo è di 2300-2400 euro al mese. I sacrifici prima o poi saranno ripagati, no?”. Ivan è andato via dall’Italia nonostante avesse già un lavoro: “Una società di analisi televisiva. Insomma prendevamo i tempi di parola dei politici, esilarante no?”. Co co pro, rinnovato di tre mesi in tre mesi, cinquecento euro al mese, sabato e domeniche incluse. Ha detto basta e ha voluto “saltare nel buio”. “I miei colleghi di lavoro – racconta – al mio ultimo giorno, mi hanno festeggiato preparandomi una torta (lavoravamo da appena 7 mesi insieme), uniti dalla stessa motivazione: ‘Bravo Ivan, tu hai il coraggio di farlo'”.  Ora che il peggio fuori casa sembra passato ogni tanto Ivan si incupisce: “Rifletto sui miei sogni e penso: “Che brutta fine ho fatto!”. Per fortuna è un’aurea negativa travolta subito da tutti i buoni propositi. Almeno, però, vorrei scattarmi una foto e mandarla alla Fornero chiedendole secondo lei quanto sono ‘choosy’. Tornerei di corsa, perché nonostante tutto amo il mio Paese. Ma ho quasi 30 anni e noi siamo già dei piccoli esodati”. Ivan ha da sempre sognato di fare il giornalista. Ha lavorato due anni in un giornale “senza manco aver in cambio il biglietto dell’autobus” e con la promessa di venir assunto tra “5 e 6 anni”.

DA TURISTA A RESIDENTE – Mattia è partito a Toronto come turista nel 2010, poi ci è rimasto. “Come spesso accade, i piani vengono stravolti da incontri, coincidenze. Infatti in quei tre mesi ho conosciuto un giornalista friulano, Paolo Canciani, che mi ha convinto a spedire il curriculum al Corriere Canadese. Il quotidiano mi ha assunto”. Fino a maggio era redattore lì poi: “E’ notizia – spiega – di queste settimane che Multicom Media Services Inc., società proprietaria della testata, ha dichiarato bancarotta in seguito al mancato percepimento dei contributi erogati alla stampa per l’anno 2011. Nonostante aver perso il lavoro e vedere morire un giornale con 59 anni di storia, mi sento fortunato a vivere in Canada, Paese che ti offre molte possibilità”. “Ho avuto – racconta – diverse esperienze lavorative in Italia, alcune positive e alcune negative. Tutte le redazioni ti “lasciano” qualcosa, se hai la capacità e la volontà di imparare”. Mattia sa che ornerà, prima o poi, ma non ora. “Per il momento non ho intenzione di abbandonare il “mosaico culturale” canadese, dove si respira un’aria più leggera. Di speranza e di rispetto. Dove gli immigrati come me vengono considerati una risorsa e non un peso di cui sbarazzarsi in fretta”. Patrizio, 26 anni, ha passato qualche anno a Londra. Ora è tornato a Messina per finire l’università. “Sarei rimasto volentieri . Ho trovato in pochi giorni lavoro in un ristorante. In Inghilterra ti fanno subito il contratto e sei tutelato.  Ora, a luglio, finirò gli studi. Sicuramente ripartirò- Mi piacerebbe restare in Italia ma non credo sia possibile. Lo stipendio mensile che possono offrirti è molto basso e non è abbastanza se vuoi costruirti un futuro”.

VITA DA GIOCO – Leo, laurea in editoria, lavora a Francoforte. Da circa 9 mesi fa il Game Tester di lingua italiana per la Nintendo. “In parole povere – spiega –  gioco ai videogiochi e controllo che siano privi di errori linguistici e culturali. Un po’ come un proofreader ed editor della carta stampata, solo applicato ai videogames”. Sul luogo di lavoro parla inglese, ma la barriera che il ragazzo ha dovuto affrontare è stato il tedesco: “Non conoscendo una sola parola appena arrivato anche solo le gite al supermercato erano un’impresa. Ma fortunatamente la maggior parte dei francofortesi è bilingue”. Sui motivi che l’hanno spinto ad andare via racconta: “Niente di più facile: mi hanno offerto il lavoro che volevo e ho colto l’occasione al volo. Niente di eroico o particolarmente coraggioso, andare via è stata una decisione fin troppo lineare. Se prima mi avessero offerto un lavoro in Italia, avrei accettato quello senza battere ciglio, ma sappiamo tutti che l’editoria è un settore ormai morente, quindi le possibilità sono pressoché inesistenti”. Sulle tante parole spese sui casi all’estero aggiunge: “Le testimonianze di “fuga dei cervelli” che riempiono i giornali sono piene di agiografia spicciola e luoghi comuni. Una volta che scavi sotto la superficie, la verità dietro tutti questi racconti e che, a meno di non essere un professionista insostituibile del tuo settore, in tempi di crisi quando ti offrono un buon lavoro difficilmente sei nella posizione di rifiutarlo, sopratutto se le condizioni lavorative  e salariali sono migliori di quelle che puoi sperare di ricevere nel tuo paese. Se questo rende gli emigranti dei mercenari o dei pionieri, direi che sta alla sensibilità di ognuno decidere. Del resto, in termini assoluti, la differenza tra Milano e Francoforte è appena una mezz’oretta in più di aereo, non siamo più ai tempi della valigia di cartone”. Secondo Leo ci potrebbe esser solo una unica via per mettere fine all’odissea: “Chi è disoccupato da tanto tempo è costretto ad accettare condizioni salariali e contrattuali misere e lavori in nero per sopravvivere e dare uno scopo alla propria vita. Un reddito di cittadinanza metterebbe fine al ricatto. Si dirà che in questo modo molte aziende saranno costrette a chiudere perché non più in grado di sostenere i costi del lavoro. Ebbene, forse quelle aziende sul mercato non ci dovevano entrare fin dall’inizio”.

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