Sergio Calore, una morte da Romanzo Criminale

L’INVITO AD ABBANDONARE LO STRAGISMO Calore lancia anche dei proclami politici, come quello, rivolto ai “camerati” di abbandonare lo stragismo e a dire quello che sapevano delle stragi. Intanto, i giudici ritengono la sua, e quella di altri, testimonianza su Freda poco credibile, imputano leggerezza e utilitarismo, assolvono il terrorista nero nell’appello di Piazza Fontana. Parla di progetti di assassinare l’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone, di attentati progettati alle ferrovie. Dice che “la strage di Brescia rientrava in un più vasto progetto golpista che i movimenti neofascisti avevano programmato per la primavera-estate del ‘ 74. Lo dice alla Corte d’ assise di Brescia nel processo-bis sull’ eccidio di piazza della Loggia. Parla a lungo dei suoi rapporti con Paolo Signorelli, della strategia stragista dei primi anni ‘ 70 e dei rapporti fra i neofascisti di allora e un gruppo di ufficiali del corpo d’ armata nord-est del paese. Gli attentati venivano compiuti sotto sigle diverse. Alcuni venivano decisi a livello centrale. Altri nascevano spontaneamente alla base. Tutti h avevano un unico scopo: creare allarme sociale e gettare le premesse di un intervento da parte dell’ esercito”. Racconta che ai suoi era venuta anche l’idea di rapire Licio Gelli, che conosceva. Il matrimonio con la brigatista Emilia Libera arriva nel 1989, tre anni dopo l’annuncio. E Calore sparisce, praticamente, dalle cronache.

UNA GOLA DI TROPPO – Fino ad oggi, quando qualcuno ha deciso di tagliargli la gola, mentre aveva compiuto cinquantotto anni ed era in libertà da almeno altri dieci. Intanto la sua storia si incrocia ad altre, tornate d’attualità in questi ultimi anni. Come quella di Antonio D’Inzillo, la cui mano Calore ha armato per l’omicidio dell’avvocato Arcangeli, che aveva fatto il nome di Concutelli per l’omicidio Occorsio. Quando spara, D’Inzillo ha 16 anni, è figlio di un ginecologo tra i più rinomati (e ricchi) della Capitale, frequenta un liceo classico e conosce già i vari grandi nomi dell’eversione romana. D’Inzillo guida anche l’automobile che porta via Valerio Giusva Fioravanti e Bruno Mariani dopo che hanno appena ammazzato Leandri, lo studente scambiato per l’avvocato. Nell’auto c’è anche Calore, che non ha potuto partecipare all’azione perché Arcangeli avrebbe potuto riconoscerlo. Quando lo beccano per l’omicidio, lo condannano a quindici anni, ma lui esce per decorrenza dei termini. E rientra nel giro. Prende altri quattro anni per detenzione di armi da fuoco (che erano di Fioravanti), in carcere conosce quelli della Banda della Magliana, entra in contatto con Marcello Colafigli (“Marcellone”) e Vittorio Carnovale (“er coniglio”). Colafigli pretende che lui guidi la moto, mentre lui va ad ammazzare Enrico De Pedis, “Renatino”, il Dandy di Romanzo Criminale. Lui, nell’opera di De Cataldo, è il “pischello”.

COM’E’ PICCOLO IL MONDO – Nella realtà, D’Inzillo viene finalmente arrestato nel 1992, in casa di un certo Gennaro Mokbel. Quello oggi implicato nel caso Finmeccanica e ‘ndrangheta, e beccato a parlare di un movimento politico in formazione da creare con Aldo Brancher, ex ministro dimissionario di Berlusconi poi condannato per la scalata di Bpl. D’Inzillo intanto scappa di nuovo dall’Italia e muore in Kenia. Muore? “Secondo le rare indiscrezioni trapelate in procura, a Roma, D’Inzillo è deceduto tempo fa in un ospedale di Nairobi, ma il corpo è stato frettolosamente cremato, dunque non potrà mai essere a disposizione della magistratura che l’aveva rintracciato mesi fa a Kampala, in Uganda, attraverso l’ascolto delle conversazioni sul telefono della moglie Barbara e dei familiari di quest’ultima”, scrive il Giornale. Nel frattempo si era rifatto una vita, aveva sposato una donna tacendogli il suo passato ed era diventato un marito modello. Muore, D’Inzillo? Scrive sempre il Giornale che la sua è “Una morte che presenta moltissimi lati oscuri (per i familiari si tratta di morte per problemi al fegato), così come oscura è tutta la sua avventurosa latitanza culminata con un misterioso agguato ai suoi danni al confine con il Congo: un killer gli ha sparato una pistolettata in faccia, a bruciapelo, ma il proiettile è passato per la mandibola senza colpire organi vitali. Da quel giorno il fantasma di D’Inzillo è stato più facile da tenere d’occhio per via di quella lunga cicatrice che gli squarciava la guancia. Pedinarlo, però, era praticamente impossibile visto che prestava la sua opera in un’azienda agricola di proprietà del presidente Museveni ed era indirettamente in affari, nella gestione di uno sporting club, con familiari del fratello dello stesso presidente. Sarà stato anche per queste importanti amicizie, oltre a quella con un religioso cattolico locale, che D’Inzillo viveva tranquillo, al riparo da qualsiasi richiesta di estradizione che l’Uganda, nel caso, avrebbe certamente respinto. Il killer del boss De Pedis negli ultimi anni avrebbe lavorato al servizio di apparati governativi come coordinatore militare di attività segrete, assolutamente illecite, quali la raccolta e il trasporto di legname rubato in territorio sudanese oltre al traffico di particolari risorse minerarie, come l’oro del Congo. Avrebbe ricoperto anche un ruolo nei rapporti con il Lord Resistance Army, organizzazione paramilitare d’ispirazione cristiana specializzata in scorribande oltre confine, sovrintendendo i gruppi armati a difesa dei lavori per la costruzione di strade, partecipando come consulente alla costruzione di una diga. Precedentemente, però, viene segnalato in Kenia al servizio di due gruppi paramilitari”. Oggi è morto Calore. Gli hanno tagliato la gola. Forse per qualcosa di troppo tra le tante che ha detto. Chissà quale. Oppure è un delitto d’impeto, davvero. Ma per una vita da Romanzo Criminale come la sua, sarebbe davvero una delusione.

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