In Mali è allarme schiavitù

04/04/2013 di Maghdi Abo Abia

Il Guardian ci parla di una nuova realtà registrata in Mali, ovvero l’uso di uomini e donne come schiavi da parte dei combattenti del movimento di liberazione dell’Azawad, ovvero i tuareg che attaccarono il nord del Paese nel 2012.

LA FUGA – Raichatou Walet Touka, residente in una casa di Bamako, la capitale, dopo aver abbandonato Gao all’inizio dei tumulti, ha spiegato di non avere più notizie del fratello da oltre un anno. La donna ha spiegato in lacrime di aver paura per la sorte dei suoi cari ancora presenti nella zona nord del Paese in quanto sostiene che questi possano essere stati ridotti in schiavitù dai tuareg. Nel 2008 la Raichatou è riuscita a scappare dalla schiavitù dalla sua città di Menaka cercando rifugio a Gao, ma quando il Mnla è arrivato al potere, ha avuto paura di tornare ad essere una schiava e per questo è scappata.

 

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L’OBIETTIVO DEI COMBATTENTI DELL’AZAWAD – I gruppi anti-schiavitù hanno spiegato che il conflitto ed il caos politico successivo in Mali hanno preoccupato non poco la comunità nazionale peggiorando di fatto la situazione già presente nel Paese, con 250 mila schiavi già registrati. Molti dei notabili dell’esercito della liberazione dell’Azawad sono originari di nobili famiglie tuareg ed alcune di loro ancora oggi praticano la schiavitù. L’organizzazione a difesa degli oppressi “Temedt” ha spiegato che già sono stati registrati casi di schiavitù con la cattura di gente fuggita, tra cui 18 bambini recuperati da un villaggio lo scorso settembre e secondo Raichatou questo potrebbe essere stato il destino del fratello.

LA STORIA DI RAICHATOU – In Mali la schiavitù è riconosciuta come crimine contro l’umanità, anche nella costituzione. Eppure si tratta di una pratica molto comune nella società e sopratutto tra le comunità tuareg che riducono in schiavitù le comunità di colore locali. Addirittura i loro figli vengono considerati proprietà dei tuareg. E questo radicamento culturale rende molto difficili, se non impossibili, le cause contro i “proprietari”, spesso intraprese da parte di associazioni a tutela dei diritti umani. Nello specifico Raichatou divenne una schiava all’età di sette anni quando la madre, anche lei schiava, morì. A quel punto divenne un membro della servitù casalinga senza ricevere compenso per circa 20 anni e fu costretta a sposarsi con uno schiavo che neanche conosceva solo per avere altri schiavi.

L’AZIONE DI TEMEDT – Nel 2008 venne salvata da Temedt e potè riabbracciare il padre, il quale non aveva alcun potere per reclamare i figli. Ora però non sembra sia più possibile operare in tranquillità per gli attivisti di Temedt. Questi non sono più liberi di muoversi ed a volte sono costretti ad essere accompagnati da una scorta. L’attacco al nord del Paese ha anche interrotto i processi di risarcimento di 17 schiavi e per Raichatou ormai sembra che le lotte del passato non abbiano più alcun senso, anche a causa dell’assenza dello Stato e della mancanza di finanziamenti e del blocco del microcredito a favore degli schiavi.

LA SPERANZA – “Ora il nostro lavoro è fermo”, ha spiegato  Intamat Ag Inkadewane, organizer di Temedt. “Sono qui seduto a Bamako. Non lavoro. Non vengo pagato. Ci sono cose che vorrei fare al nord ma non come poter tornarci. Il presidente di Temedt  Ibrahim Ag Idbaltanat ha spiegato che confida nelle prossime elezioni dove addirittura i discendenti degli schiavi potrebbero essere nominati in Parlamento. Questo renderebbe le cose più semplici, anche perché la paura di un ritorno di fiamma degli islamici spaventa molti degli ex servi. (Photocredit Lapresse)

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