Il grande buco di Tor Bella Monaca

Il grigio dei palazzi stride col sole che illumina le strade di Tor Bella Monaca. A rallegrare un po’ ci pensano i panni appesi alle finestre lungo via dell’Archeologia. Sono le tre e più in là, a viale Quaglia, si prende il caffè. Costa solo 70 centesimi. “Ha visto quanto è basso?” aggiunge soddisfatto il gestore. “Tra i più bassi di Roma. C’è crisi, io sto da trent’anni qui. Ne ho viste tante. Ma solo due anni fa, all’ora di pranzo, la gente faceva la fila alla porta”. Nel rione una tazzina non è la sola cosa a costare poco. Si toccano anche solo i dieci euro per una dose di eroina che, tra cornetti e panini, è purtroppo da anni una delle merci “stupefacenti” in offerta del quartiere.

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SPARALA SPARALA – Tanto non bisogna fare molti chilometri per consumarla. Basta scendere alla Pinetina e tutto il verde che circonda le case popolari ti fa da scudo. Lì, mischiato tra le margherite, c’è un tappeto di siringhe usate, aghi spezzati e riutilizzati, involucri di plastica. Sulle stradine che costeggiano viale Tor Bella Monaca sguardi persi nel vuoto cercano un “privé” per spararsela in vena. A volte la fretta è troppa. Così ci si buca anche davanti a volontari e passanti, magari chiedendogli di buttare uno sguardo, nel caso che lei, assassina, ti porti verso il vicolo cieco dell’overdose. La croce rossa e i ragazzi della comunità di Villa Maraini riempiono buste intere di rifiuti. Con una pinza cercano gli aghi e li levano. Qualcuno pulisce lo spazio che un tempo è stato il suo teatro dell’orrore. “E’ un anno che sto in comunità – mi racconta un giovane mentre spazza – Seguo un programma che dura due anni. La vita cambia, poi ognuno ha una storia a sé, una sua dipendenza. Io ero dipendente da alcool e cocaina. E’ una cosa diversa, più mentale che fisica.  Ora riesci a inquadrare i tuoi obiettivi, il tuo futuro”. E prima? “Prima… non ci stavi tanto con la capoccia. L’eroinomane non si regge in piedi. Il cocainomane non si vede, vive in ambienti diversi, è di un’altra classe sociale. Pensi che determinate persone in giacca e cravatta non ne facciano mai uso. E invece… Per l’eroinomane basta poco per star fatto, con la cocaina no. Ne vuoi sempre di più”.  Ci sono poi varie soluzioni per avere una botta più grossa. “Ora – spiega – cominciano ad iniettarla. Per avere il flash. La cocaina è una droga che dura poco. Inalandola arriva più tardi, in vena, invece, da subito”. Il passato è chiuso in un angolo. Finito il programma, si spera in un impiego in qualunque settore. “E’ indifferente. Sono uscito dall’inferno. Qualsiasi lavoro mi capiterà di fare lo farò. Mi adeguo a tutto”.

L’INIZIATIVA – Nel rione non è un giorno qualunque. Sotto il prato una serie di sedie a cerchio sfidano l’attività illecita. Si parla di droga, di tossicodipendenze nel talkstreet “Tira dritto”, tour di sensibilizzazione al tema, lanciato dal giornalista Paolo Berizzi, autore del libro “La bamba”. Ad occupare i posti Kasia Smutniak, Flavio Insinna, Fabrizio Frizzi, il capo Dipartimento politiche antidroga Giovanni Serpelloni, Massimo Barra di Villa Maraini, Andrea Iacomini portavoce UNICEF e Anna Canepa, sostituto procuratore antimafia. Istituzioni a fianco di operatori sociali, medici e semplici cittadini. Obiettivo comune è quello di “occupare i fortini” della morte. La campagna parte oggi da Roma e percorrerà tutto lo stivale: da Scampia a Corso Como. “Non è una passerella – spiega Bernizzi – Siamo qui a far capire ai signori della coca che questo spazio non è loro. Vedete tutte le siringhe che ci sono qui attorno? Sono piene di eroina e di cocaina che non piove dal cielo, perché da qualche parte arriva”. L’autore elenca i cognomi dei “padroni”. “Se oggi qui siamo in tanti – racconta – vuol dire che tutto questo non è imbattibile. Questi signori, almeno questo pomeriggio, capiranno che questi  luoghi non appartengono solo a loro ma anche al resto della città”.

SI SONO FATTI FURBI – Le piazze a due passi dal Gra non sono come San Basilio o la campana Scampia. Qui la droga non si vede e non ci sono i fischiatori di professione. Qui l’involucro lo si nasconde nei salotti, nelle cucine, nelle bambole di tua figlia. Come è successo a una mamma pusher, tre anni fa. In un territorio esteso quanto la città di Firenze operano circa cento agenti di polizia per una popolazione che supera le 400 mila persone. Ad aiutarli i carabinieri della Compagnia di Frascati. L’acquisto non funziona come a Milano. Sotto la Madonnina, in caso di allarme e con gli ovuli in bocca, si inghiotte tutto. A Roma no, qui si bussa, si cerca in un posto specifico, si trova nei buchi delle fondamenta e dei garage. Prima il meccanismo era differente: un bambino prendeva i soldi, poi una seconda persona mollava il prezioso fazzoletto. Solo dopo mezz’ora buona, per non destare sospetti, si raccoglieva la dose dall’asfalto. Ora non si fida più nessuno e l’omertà regna sovrana. La catena non si vede e per le autorità è sempre più difficile fermarla. Prima della consegna il tossico deve fare la pallina da ping pong tra una via e l’altra. A volte i clienti abituali attendono anche due ore. Sono cinque le piazze gestite principalmente da tre clan: Casamonica, Alvaro, Piromalli. Il tutto sotto la benedizione casalese di Schiavone-Noviello. In vetrina? Eroina e cocaina.

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IN GIRO – Roberto, operatore di primo soccorso spiega: “Spacciano per strada, nei bar nelle case. Ci sono portoni con cancello e telecamere. Le vedette servono a questo e ad avvertire in caso di pericolo. Qui il mercato è gestito interamente dagli italiani. Vengono a rifornirsi da Tivoli, L’ Aquila, per il rapporto qualità prezzo”. Gli operatori sono una manna dal cielo per il consumatore. “A volte – racconta – ci chiedono di dare una occhiata a loro nel caso di overdose. Qualche volta però siamo arrivati troppo tardi”. Roberto indica il punto in cui due anni fa un uomo è morto per una dose sbagliata. “Soffocato. Quando siamo arrivati era chinato su sé stesso. C’erano i bambini attorno che giocavano a pallone. Nessuno si era accorto di nulla. Era morto da mezz’ora. Era appena uscito dal carcere. Le overdose accadono quando una persona esce dall’ospedale o da un istituto di pena . Si fa ma l’organismo non è più assuefatto per quella sostanza e quella quantità”. Ora i tossicodipendenti sono abituati alla presenza dei volontari, che negli ultimi tempi danno una mano anche alle forze dell’ordine. Gli agenti chiedono loro consiglio su come intervenire. La folla di Tor Bella Monaca è tanta: “Qui minimo tutti i giorni passano al camper non meno di 150 persone, per chiedere siringhe o assistenza”. Quell’ago diventa tutto: “A volte capita che le persone lo raccolgano da terra. C’è chi disperato finisce nel raccattare fialette già usate da altri”. In vista della chiusura gli utenti prendono anche quattro cinque siringhe insieme: per evitare poi di rimanere senza.

DI MALE IN PEGGIO – Fino ad un anno fa i turni dei volontari partivano dalla mattina fino alle otto di sera. Adesso, con centri in continua chiusura e meno soldi, si chiude alle quattro del pomeriggio. Un orario così sarebbe pressoché inutile al rione, dato che le farmacie di turno non sono aperte e i pusher lavorano dal pomeriggio all’alba. Non solo, Roberto e tutti gli altri non percepiscono più lo stipendio da quattro mesi. I fondi scarseggiano. Da luglio 2012 ci sono ritardi nei pagamenti anche da parte dell’Agenzia Capitolina sulle Tossicodipendenze. “Due estati fa -racconta – girava una eroina fulminante. Ho visto una persona cadermi davanti. Ho preso due fiale di Narcan, non si riprendeva. Neanche il tempo di prepararne altre due che mi è morta tra le braccia. Quell’anno giravamo con delle dosi pronte nei giubbotti”. Chi nasce a Tor Bella Monaca deve farsi gli anticorpi. Tutti i giorni, nel quotidiano, la piaga della droga esce allo scoperto. Un morto all’angolo, una siringa a due passi da una scuola elementare, una ronda giovane in motorino sprezzante del traffico. Sui marciapiedi o dentro il “buco” di pietra. Il miglior privé è quello che sovrasta il prato davanti al vialone. Dentro c’è di tutto, dal sangue sui mattoni agli aghi usati. Da là sopra si vedono i palazzoni che si sperdono fino a giù, verso il cuore della Capitale. Si dà uno sguardo al panorama prima di agire. Si lancia una occhiata intorno in cerca di qualche vecchia compagnia. Solo dopo si lega il laccio, sperando che, comunque vada a finire, sia l’ultima volta.

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