Banca Italease, storia di una truffa da un miliardo di euro

17/09/2010 di Dario Ferri

Diceva Bertolt Brecht che il vero ladro non è chi rapina una banca, ma chi la fonda. Il caso di Roberto Faenza sembra fatto apposta per dargli ragione.

“Poiché una banca è più difficile che venga percepita come fonte di allarme sociale questa associazione può essere più dannosa, se si prescinde dagli aspetti dell’incolumità della persona, di un’associazione che fa cento rapine”. Il pubblico ministero Roberto Pellicano se ne esce così durante l’arringa con cui chiede per l’ex amministratore delegato di Banca Italease, Massimo Faenza, cinque anni e mezzo di carcere per associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita.

UNA SPREMUTA DI SANGUE – Il pm Roberto Pellicano ha chiesto ai giudici del tribunale di condannare anche l’ex responsabile delle relazioni esterne della banca, Pino Arbia, e i mediatori Leonardo Gresele e Luca De Filippo a 4 anni e mezzo di carcere, l’allora direttore finanziario della Danieli Mauro Mian (accusato solo di appropriazione indebita) a tre anni di carcere, e altri due mediatori, Gianluca Montanari e Claudio Calza, rispettivamente a un anno e mezzo e un anno e quattro mesi. Per questi due la pena chiesta è uguale a quella che tempo fa avevano cercato di patteggiare. Le richieste di condanna sono arrivate dopo un paio d’ore di requisitoria nella quale il pm nella sua ricostruzione ha concluso che i fatti contestati sono molto gravi perché hanno “procurato danni ingentissimi, perché hanno danneggiato un’istituzione con ricadute sulla collettività. Alla fine – ha proseguito – c’è stato un meccanismo che attraverso la quotazione in borsa e quindi il ricorso al capitale di rischio per cui hanno perso gli azionisti”.

UN VIRUS CHE SFRUTTA L’ORGANISMO – Il pm ha parlato di “fatti commessi dagli imputati con una struttura associativa molto sofisticata” che come “un virus che sfrutta l’organismo altrui” si è inserita nella banca. E dell’esistenza di “un gruppo coeso” che ha praticato un’attività che è stata quella “di impoverire costantemente la banca” attraverso le operazioni effettuate con i derivati “quelli esotici che non avevano alcuna finalità commerciale ed economica”. L’appropriazione indebita contestata è di circa 23 milioni di euro. L’avvocato di parte civile Giovanni Arcinni ha chiesto il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali da liquidarsi in separata sede e una provvisionale immediatamente esecutiva che corrisponda almeno alle somme dell’appropriazione indebita e cioè di quasi 30 milioni. Faenza è stato arrestato nel gennaio del 2008. Le operazioni ‘allegre’ sui derivati hanno causato alla banca una perdita di un miliardo di euro.

PARABOLA D’UN UOMO D’ORO – La parabola discendente di Massimo Faenza va dai tempi d’oro di Banca Italease in Borsa al coinvolgimento nell’inchiesta sul crac dell’amico ‘furbetto del quartierino’ Danilo Coppola. Passando per l’azzeramento del vertice Italease imposto da Bankitalia a causa delle maxi-perdite scatenate dallo scandalo derivati, fino all’arresto nel 2008 per associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita. Faenza, romano della classe 1965 (45 anni), su cui adesso piomba l’istanza del Pm di Milano, Roberto Pellicano. Il ‘golden boy’ della finanza aveva iniziato la sua carriera nella Banca di Roma appena 24enne, per diventare nel 1994 responsabile della rete commerciale di Rolo Banca e nel 1999 responsabile commerciale del Banco di Sicilia. Il successo arriva nel 2003 con lo sbarco a Milano, nel quartier generale di Banca Italease. Il banchiere diventa presto ad della piccola banca di leasing di Via Cino del Duca con la missione di portare il gruppo in Piazza Affari.

O LA BORSA O LA VITA – Detto fatto: il 14 giugno 2005 Italease viene collocata in Borsa a 9,3 euro e dopo un anno e mezzo vale quasi sei volte di più: 50 euro per azione. Qualcosa però non quadra e nei meccanismi della macchina qualcosa s’inceppa con l’arresto dell’amico nel ‘malaffare’, Danilo Coppola (marzo 2007). Da quel giorno Italease comincia a incassare duri colpi in Borsa e ad aprile, su richiesta della Consob, emerge che un’ esposizione verso il gruppo Coppola di quasi 70 milioni. A maggio gli eventi precipitano. In un primo momento Faenza conferma di essere iscritto nel registro degli indagati nell’ambito del crac del ‘furbetto del quartierinò. Poi l’istituto rende noto per la prima volta dei rischi legati ai contratti in derivati. Rischi questi che lievitano vertiginosamente: tra maggio e giugno l’esposizione passa da 225 milioni a 400 milioni. Per poi diventare nel 2009 una maxi perdita da un miliardo di euro. E così mentre le azioni collassano in Borsa, a giugno del 2007 Faenza comunica le sue dimissioni. Intanto Bankitalia impone all’istituto alcuni imperativi tra cui l’azzeramento del cda e il divieto di continuare a vendere derivati visto che non era autorizzata. Da lì l’inizio delle indagini e il cambio della guardia in Italease. Nel gennaio 2008 Faenza viene così arrestato insieme ad alcuni suoi uomini come Massimo Sarandrea (ex responsabile dell’ufficio financial banking di Italease), Roberto Fabbri (ex vicedirettore generale business) e i due consulenti-intermediari Claudio Calza e Luca De Filippo. Nel maggio dello stesso anno il Gip concede i domiciliari a Faenza e a meno di un anno (marzo 2009) viene chiesto il processo e quindi rinviato a giudizio (marzo 2010).

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