Giuliano Amato spiega come spende i 30mila euro al mese di pensione

In una lunghissima lettera aperta indirizzata a Repubblica in risposta a un articolo di Giovanna Casadio, l’ex Dottor Sottile Giuliano Amato parla del suo vitalizio e della sua pensione e si difende dall’accusa di far parte della “casta”:

CARO Direttore,

l’articolo di Giovanna Casadio pubblicato sabato e dedicato alle reazioni dei militanti del Pd a un eventuale governissimo, era affiancato da alcuni commenti apparsi su Twitter. In uno di essi si diceva: “Se fanno il governissimo con Amato, al prossimo giro Grillo prende il 60%”. Io non conosco l’autore di questo commento, ma, premesso che non aspiro né a governi né a governissimi, vorrei chiedergli sulla base di quali informazioni e valutazioni pensa e scrive su di me una cosa del genere. Forse lo fa sulla base della campagna dalla quale sono stato bersagliato, soprattutto in rete, perché sarei un vorace cumulatore di prebende pubbliche, sommando una pensione già alta con il vitalizio di ex parlamentare per un totale di 31mila euro mensili. Ma io ho reso noto da tempo che il vitalizio lo giro mensilmente a una comunità di assistenza e dallo Stato ho quindi soltanto la pensione, che è al netto poco più di 11mila euro. E’ una pensione alta, lo so, che sta tuttavia sotto il tetto stabilito dal governo Monti per i trattamenti pubblici ed è peraltro inferiore a quella che riscuotono giudici costituzionali, alti magistrati ed altri funzionari, specie se andati in pensione dopo di me. Posso essere crocifisso per questo, quando sono forse l’unico ex parlamentare che ha rinunciato al vitalizio? Forse lo fa invece sulla base dei tanti incarichi che mi sono trovato ad assolvere e di quelli che ancora assolvo (gratuitamente e quindi senza cumuli), vedendomi per ciò stesso come espressione di quella casta di cui ci si vuol liberare. Un momento. Con tutto il disagio che mi provoca dover parlare di me (ma a questo punto non posso non farlo), io, per cominciare, nella vita mi sono fatto largo con le mie forze e con le mie qualità. Non avevo alle spalle una famiglia altolocata – mio nonno era muratore, mia madre aveva fatto le elementari, mio padre era diplomato- e sono arrivato alla laurea ed oltre vincendo il concorso al collegio giuridico, annesso alla Scuola Normale. Né sono poi arrivato alla cattedra universitaria grazie ad intrighi baronali. Il mio maestro, Carlo Lavagna, mi disse: «Amato, io non sono un barone, se gli altri scrivono un libro, lei ne deve scrivere due e buoni perché io ce la faccia a sostenerla». Ne ho scritti ben più di due e ho compiuto un’ottima carriera universitaria, sino alla chiamata a Roma, ben prima di entrare in politica. In politica ho portato la mia competenza e credo sinceramente di dovere ad essa, oltre che alla mia personale onestà, gli incarichi che mi sono stati affidati. Ne è uscito un curriculum che pochi hanno e me ne dovrei vergognare? Vergognarmi del fatto di essere stato tanto stimato in Europa da essere chiamato a vicepresiedere la Convenzione per la Costituzione europea e tanto stimato negli Stati Uniti da essere eletto lì, e certo non per intrighi di caste italiane, alla American Academy of Arts and Sciences, di cui pochissimi professori italiani fanno parte? Insomma, un curriculum così va additato ai giovani come un esempio da non seguire o come un modello di mobilità sociale al quale chiunque possa aspirare per sé o per i propri figli in un’Italia che lo sta rendendo sempre più difficile a chi non ha vantaggi di partenza? Pensiamoci, queste sono domande che non mettono in gioco soltanto la mia dignità. Mettono in gioco il futuro che vogliamo e la cultura con la quale lo stiamo disegnando.

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