Perché si rompe la porcellana Richard Ginori

Storia di una azienda fallita. Suo malgrado. Sì perché la vicenda dell’Azienda Richard Ginori, punta toscana delle porcellane made in Italy, ha tutt’altro che chiari i punti della sua chiusura. I suoi 314 dipendenti si trovano in cassa integrazione da agosto. Una società che ha “un milione di perdita al mese”. E i clienti (ci sono ordini provenienti anche dal Giappone) rischiano di non avere più i loro crediti.

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CATTIVI PADRI – La Richard Ginori ha 250 anni. Si trova a Sesto Fiorentino, lo stesso luogo dove il marchese Carlo Ginori nel 1735 creò la Manifattura di Doccia, creatura che diverrà il noto marchio italiano delle porcellane di lusso. Nel 1896 si unisce col milanese Augusto Richard. A guidarne negli anni ’20 la direzione artistica è Gio Ponti. Una ascesa verso lo status del Made in Italy, culminato nel 1965 con la fusione della Società Ceramica Italiana di Laveno. Poi, iniziano i guai. La società balla sulla crisi da quarant’anni, quando diventò una controllata (nel 1970) della Finanziaria Sviluppo di Michele Sindona. Il nome non è nuovo, dato che il banchiere Sindona è stato coinvolto nell’affare Calvi e mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli. E’ morto avvelenato in prigione mentre scontava la sua condanna all’ergastolo. Poi il passaggio alla Liquigas di Raffaele Ursini, scappato negli anni’80 in Sud America dopo condanna per falso in bilancio. Infine la fusione con la Pozzi Ginori e il passaggio nel 1977 alla Sai. Nel 1993 nuovo terremoto, dove l’azienda viene frazionata. La Pozzi-Ginori finisce alla Sanitec Corporation, mentre la manifattura viene rilevata cinque anni da Pagnossin. Inizia così l’accelerata verso il baratro quando nel 2006 le porcellane finiscono (per un anno solo) nei supermercati sotto il gruppo Bormioli Rocco & Figli. Dopo loro sale l’immobiliarista Luca Sarreri presidente anche della controllante Pagnossin, poi nel 2007 il marchio va alla Starfin e nel 2009 si ritorna in Piazza Affari dopo una sospensione di 3 anni del titolo dai mercati. L’incubo arriva nella primavera 2012, a maggio, con debiti che superano i 40 milioni di euro. Si entra in liquidazione, in estate c’è la cassaintegrazione per i lavoratori e l’attività viene sospesa.

IL TENTATIVO – L’ultima speranza, il tesoretto, stava nel Museo della Doccia. Quel luogo per cui investitori orientali accorrevano per ammirarne le bellezze. Circa 9000 porcellane e 5000 documenti sono state cedute allo Stato per un valore totale che si aggirava sui 45-50 milioni di euro. Un patto, per ottenere in cambio l’estinzione del debito con l’erario e la costituzione di un credito d’imposta nei successivi 5 anni. Poi l’attesa di fondi ulteriori (e speciali) dal Ministero dello Sviluppo economico. Ma non basta. Si cercano i compratori. E ci sono. Dopo la cessione del museo, a dicembre c’è stato un tentativo di cordata da parte delle società americana Lenox e romena Apulum. A dare l’ok il collegio dei liquidatori dell’azienda, riunitosi a Sesto Fiorentino. Il piano prevedeva una offerta di 13 milioni di euro, destinati al concordato preventivo dell’azienda all’epoca in liquidazione, e la riassunzione di 280 addetti su 319. Una proposta migliore rispetto a quella lanciata dall’azienda Sambonet, che riassumeva solo 150 addetti con una offerta che si fermava sui 5,1 milioni di euro. A interessarsi alla toscana anche realtà come Pinti, Great Wall, Certina Holding. Poi invece la doccia fredda del tribunale fiorentino che ha dichiarato il fallimento, bloccando ogni speranza.

RISVOLTI – Intanto in Procura hanno aperto un fascicolo sul fallimento dell’azienda. Un passaggio obbligato, dopo la richiesta di concordato fatta in primavera. Al momento non risultano né indagati né ipotesi di reato. Anche se si indaga sulla sentenza del tribunale di Firenze del 7 gennaio scorso. Quella che ha poi bloccato il concordato, dando il via al fallimento. In quella occasione: “Il Collegio dei Liquidatori di “Richard Ginori 1735 S.p.A. in liquidazione” informa che con sentenza n.2/13 repertorio 3/2013 depositata in data 07-01-2013 il Tribunale di Firenze, III Sezione Civile, Collegio Fallimentare ha dichiarato la inammissibilità della domanda di concordato preventivo ed ha dichiarato il fallimento della Società, nominando giudice delegato la Dott.ssa Isabella Mariani e curatore fallimentare il Rag. Andrea Spignoli”. Intanto la Starfin, la finanziaria presieduta da Roberto Villa che controlla l’azienda, ha continuato fino agli ultimi giorni a vendere azioni. Una fetta che si è ridotta dal 54 al 48% nell’arco di sole due settimane. Dietro tutto la scusa di far cassa per azzerare i debiti aziendali.

I TERRENI – Perché si cerca di affossare la punta di diamante dell’ artigianato italiano? Una grande azienda si fonda su un grande terreno. Appetibile. Se non fosse per tutti quei debiti. Una nota del capogruppo di Rifondazione comunista Andrea Calò in Consiglio provinciale di Firenze , chiarisce i problemi dell’area su cui sorge la fabbrica:

Come vediamo ogni problema ci riporta al punto di partenza che riguarda i terreni e le possibili speculazioni, aspetti questi che proviamo ad esemplificare in tre punti, ricordando che il 50% è di proprietà di Richard Ginori e il restante è della società Trigono:
1. sappiamo che Richard Ginori 1735 SpA per risiedere sulla parte dei terreni che non sono di sua proprietà ma della società Trigono, paga un affitto molto oneroso di cui è in arretrato per insolvenza;
2. la società immobiliare Trigono, tempo fa, ha avviato una azione legale nei confronti di Richard Ginori accusando la medesima di aver impedito una serie di investimenti sull’area: il Tribunale ha condannato in primo grado Richard Ginori ad un risarcimento verso Trigono di 8 mil di euro.
3. sull’asta dei terreni è vox populi che ci siano grandi probabilità che vada deserta vista l’onerosità della base di partenza dell’asta.

Le aste rimarranno deserte. Per la precisione ce ne sono state due, di cui l’ultima scesa a 25 milioni di euro. A settembre l’ex commercialista della Richard Ginori, Filippo Pasquini, presenta istanza di fallimento nei confronti della società. È la seconda istanza pervenuta. la prima fu notificata lo scorso 24 luglio. Una mossa che sarà una scure sulla azienda. Nel mentre ci sono 4 milioni di ordini di porcellane (anche dall’estero) bloccati. L’azienda tenta l’impossibile presentando 48 ore prima della discussione in tribunale sul fallimento la richiesta di concordato. E con l’anno nuovo arriva anche la parola fine.

OMBRE – Chi c’è però dietro i terreni della Ginori? Borgosesia , nel 2004 controlla la Trigono Srl che a sua volta è titolare del 50% del capitale Ginori Real Estate Spa, e si occupa della sua valorizzazione e gestione del patrimonio immobiliare. Sul sito quest’ultima è definita come “Joint venture siglata con Richiard Ginori 1735 proprietaria dell’area industriale di Sesto Fiorentino che sarà oggetto di una futura valorizzazione immobiliare”.

Il capitale sociale della Trigono è di 12 mila euro. A capo del cda c’è Mario Nencini. Cavaliere al lavoro è presidente del Consiglio di Amministrazione di Edilizia Mensola SpA, Trigono Srl, Fincom SpA e Sogefim SpA. È amministratore unico di Finalc Srl, Giepi Srl e Finceleste Srl e amministratore di Finmari Srl. Tra gli amministratori Trigono figura come consigliere Riccardo Fusi, che salvo omonimie, è il costruttore condannato nell’ottobre 2012 per concorso in corruzione sulla vicenda della Scuola dei Marescialli di Firenze. L’accusa era secondo i pm era quella di appropriazione indebita di finanziamenti bancari ottenuti, secondo la procura, depositando falsi contratti di compravendita; e per associazione a delinquere con l’aggravante della finalità di mafia per i suoi rapporti con Francesco De Vito Piscicelli, l’imprenditore napoletano che vantava grandi entrature alla presidenza del consiglio e al tempo stesso era in società con imprese indagate per mafia. Attenzione però la sua pena è stata sospesa. Indi per cui la prevista interdizione a contrattare con la Pubblica Amministrazione non è valida. Amico di Dennis Verdini, era patron dell’azienda di costruzioni BTP. Ovvero quella che costruisce gallerie, aeroporti, autostrade e centri commerciali come l’outlet di Barberino. L’arresto nel ’92 nell’ambito dell’inchiesta sul piano casa di Firenze (finita poi in una assoluzione generale) non ha fermato la sua corsa nel panorama dell’industria toscana. Se si osserva la visura storica dell’azienda Trigono si notano manovre interessanti sotto la voce trasferimento quote. Come quelle cedute dalla SO.B.L.IM (non più impresa nel 2008) a Il Forte Spa. Quote azionarie per 4 mila euro cedute nel 2006 alla società posseduta al 55% da tre membri della famiglia Fusi, che vede Riccardo come amministratore unico. La stessa ditta che compare nel dossier Bankitalia, come partecipata in modo indiretto alla BTP spa, grazie all’immobiliare Ferrucci. Il cerchio sembra chiudersi. Tranne la vita di 134 famiglie, figli dell’eccellenza italiana, costretti a fare gli equilibristi improvvisati sul lungo filo della disoccupazione.

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