Essere gay in Iran

“Mahmoud Ahmadinejad assicura che non ci sono gay in Iran. Non c’è dialogo, non c’è nessuna discussione che riguardi noi o le nostre vite. Posso perfino capire perché le persone ci chiamino con migliaia di nomi diabolici”. Comincia così la lettera scritta da un giovane omosessuale iraniano al corrispondente da Teheran del Guardian. Il quotidiano britannico l’ha pubblicata come una dura testimonianza della repressione che gli omosessuali iraniani sono costretti a subire sotto il dominio di Ahmadinejad.

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A SCUOLA – Chi scrive è fuggito in Norvegia diverso tempo fa: “Quando parlo a un estraneo della mia vita e delle ragioni che mi hanno portato a fuggire rimango sempre molto sorpreso da quanto poco la gente sia al corrente di come di viva in Iran”. Nemmeno i modelli educativi estremamente rigidi della scuola iraniana sono sufficienti a fermare la naturale scoperta della propria sessualità: “Tutto era molto innocente. Non ci sentivamo differenti. La scuola era composta da soli ragazzi e ognuno aveva un certo grado di intimità con gli altri. Noi occupavamo una parte di questo spettro emozionale, ma nessuno ci trattava come se fossimo un fenomeno da baraccone. Ognuno aveva un amico speciale e non c’era nessuna vergogna nel dirgli ‘Ti voglio bene’. All’università le cose sono cambiate. Ho scoperto le donne, ma entro la fine del primo anno mi è stato ovvio che c’era qualcosa che non mi tornava quando stavo in loro compagnia. Cercavo rifugio nella compagnia maschile, mi sentivo compreso e la loro presenza mi faceva sentire felice. Per la prima volta mi sono sentito diverso. Fu un periodo di scoperta di me stesso, di scoperta di ciò che era ‘normale’. Avevo capito che io ero diverso, ma ero convinto di essere malato. Pensavo che questi desideri fossero maledetti, peccaminosi”.

 

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BRACCATI – Questi pensieri, tuttavia, non hanno impedito al giovane di innamorarsi, ricambiato. “A Teheran mi ero fatto alcuni amici e a una festa conobbi Naser. Parlammo per l’intera serata. Era un amore platonico, ma poi entrambi capimmo che le nostre vite erano cambiate per sempre. Decisi di trasferirmi da lui. Dopo due anni trovai anche un lavoro nel suo stesso posto. Fu un errore, perché dopo esserci celati per così tanto tempo, ora i colleghi cominciavano a parlare di noi. Dopo un litigio qualcuno chiamò il nostro padrone di casa, che ci sfrattò immediatamente. Mentre cercavamo un nuovo posto, apprendemmo che eravamo stati segnalati alle autorità. Non ci restava altra scelta che fuggire. Se ci avessero trovati saremmo stati giustiziati. Così ce ne andammo. Dal Kurdistan a Istanbul e poi in Grecia. Eravamo rifugiati e subimmo ogni tipo di maltrattamenti e umiliazioni. Dopo dieci mesi, ottenemmo asilo in Norvegia e andammo lì, pronti a cominciare una nuova vita insieme”.

NESSUNO VUOLE SAPERNE NULLA – Il prezzo che quest’uomo ha dovuto pagare per “essere diverso” è stato altissimo: i genitori, sconvolti dalla rivelazione dell’omosessualità del proprio figlio, non hanno potuto fare altro che vederlo partire. Profondamente religiosi, lo hanno insultato e maledetto. Non li ha mai più rivisti. “Non credereste mai quanto omosessuali vivono nelle pieghe della città di Teheran. Nessuno lo sa e nessuno lo vuole sapere, ma se sei gay presto troverai un posto dove andare. Ovviamente non ci sono bandiere arcobaleno all’ingresso, ma se entri scoprirai dettagli inequivocabili. Facciamo anche feste gay, e ci divertiamo molto, ma non si tratta di orge, non c’è niente di ‘sporco’. Ci sono sia coppie di uomini che di donne. Parliamo della società iraniana. Certo, la paura delle autorità è sempre presente: ma, a dispetto di quanto dichiarato da Ahmadinejad, in Iran ci sono tanti gay quanti ce ne sono in ogni altro paese. Ma nessuno vuole saperne nulla. In un certo senso, Ahmadinejad ha ragione: la sua idea di Iran non ha gay, non ha liberali, non ha dissidenti. Il nostro Iran vive dietro porte sbarrate e muri invalicabili. Forse un giorno questa mura cadranno e tutti potremo condividere lo stesso Iran”.

 

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