Il lungo veleno di Acerra

Cemento e rifiuti, usati per costruire una scuola o sversati nella campagna di Acerra. Così capita che chi alleva con passione le sue pecore si ammala di diossina e muore lottando mentre cerca la verità. Alessandro Cannavacciuolo continua la lotta di suo zio Vincenzo, morto di tumore nel 2007. Nel suo sangue furono trovati 556 nanogrammi per grammo di lipide di Pcb, valori 25 volte superiori al limite consentiti. Lui, a 24 anni, continua a denunciare quello che il cemento nasconde. Veleno, tra le mura di gran parte delle case, costruite da una ditta accusata di disastro ambientale.

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(foto Facebook di Alessandro Cannavacciuolo)

IL PROCESSO – Quaranta imputati, sei anni e una vittima: Acerra e i suoi abitanti. Sono questi gli ingredienti del processo Pellini. Nel 2006 con l’operazione Carosello-Ultimo Atto i carabinieri del Noe di Roma e del comando provinciale di Napoli misero le manette ai tre fratelli Pellini. Al tempo, uno di loro, Salvatore, era maresciallo dei carabinieri. Elemento non trascurabile, che secondo l’accusa ha permesso l’insabbiamento del crimine. Sono infatti rimasti coinvolti nel blitz funzionari pubblici, responsabili dell’ufficio tecnico di Acerra e anche altri due carabinieri, colpevoli secondo l’accusa della falsificazione dei verbali d’interrogatorio dei dirigenti Pellini. Come parte civile si sono costituite la Coldiretti, la Regione Lazio, la provincia di Napoli, associazioni consumatori e i pastori di Acerra. Le loro greggi sono state abbattute perché contenti diossina. Nello stesso processo è stata notificata l’aggravante dell’art. 7 delinquere a stato mafioso. A ricordarlo è Alessandro che parla della sua lotta contro i titani del cemento: “Ho iniziato nel 2002. Fortunatamente nel 2006 ci sono stati gli arresti tra cui quello di Giuseppe Curcio, 45 anni, in servizio alla stazione carabinieri di Frignano come vicecomandante”. Prossimo appuntamento il 27 dicembre, quando al tribunale di Napoli si farà un passo verso la fine.

IL MECCANISMO– Secondo l’impianto accusatorio la Ditta Fratelli Pellini avrebbe organizzato il traffico di rifiuti usando come destinazione finale una discarica sita al confine con il comune di Maddaloni e un sito in via Tappia. Quest’ultimo posto è vicinissimo al rione Gescal, popolato da migliaia di famiglie. Ma oltre al cementificio la ditta aveva appalti per lo smaltimento dei rifiuti, che però avveniva in modo illegale. Il mix con i rifiuti, avveniva secondo i pm, nella discarica di Lenza Schiavone, dove finiva tutto in concime spacciato poi nelle campagne della zona. In via Tappia invece si sversavano i rifiuti liquidi. Dove? Nell’ex canale pluviale di Regi Lagni per poi finire sul litorale. A provare l’attività anche alcuni filmati della Forestale. Poi il tutto veniva condito da un giro di fatture false che creavano ulteriore giro, senza che di fatto fossero rispettati gli step necessari. Ma la rete si allarga. Il gruppo Pellini faceva da intermediario della raccolta dei rifiuti della Enichem di Priolo, della Decoindustria di Pisa, della Nuova Esa e i dei servizi Costieri di porto Marghera, nel Veneto. E così nell’agro acerrano finiva di tutto: da oli a rischio R45 all’amianto e oli con Pcb.

IL PENTITO – A confermare il meccanismo anche le parole del pentito Pasquale Di Fiore. Il suo clan regolava il mercato del calcestruzzo dal 200 al 2008 e spesso si scontrava con la ditta che faceva prezzi inferiori:

Lo miscelavano con l’amianto triturato. Alcune famiglie hanno messo gli avvocati in mezzo per vedere come erano fatte le pareti, per provare la cattiva qualità del calcestruzzo. I Pellini, poi, chiusero col cemento perché si era diffusa la notizia che lavoravano ‘sporco’

E ancora…

I Pellini facevano entrare i camion nel loro impianto e si facevano pagare due o tre volte il prezzo in quanto andavano a smaltire rifiuti tossici nelle campagne. So e saprei anche individuare alcuni fondi dove negli anni i Pellini hanno smaltito illecitamente i rifiuti che essi hanno fatto riversare in terreni a destinazione agricola, nei Frassitelli e a Sagliano.  I Pellini spesso pagavano i proprietari dei terreni per effettuare questi smaltimenti illeciti; al contempo essi pagavano anche il ‘silenzio’ degli operai che erano con loro complici. Gli operai, che erano paesani miei o amici nostri, ci informavano che venivano pagati il doppio o il triplo per lavorare di notte per andare ad occultare dei bidoni nei pressi dell’autostrada, le campagne aperte.  I Pellini godevano della protezione in particolare di un esponente delle forze dell’ordine che gestiva tutte le notizie di reato coprendo la loro attività illecite e facendo finire nel nulla le denunce. I contadini si rivolsero allora alla camorra, cioè a me, in quanto avevano paura dei tumori e degli ortaggi che non avevano più mercato (per vendere i prodotti cambiavano le etichette) a causa del forte inquinamento della zona: mi chiedevano che fine avevano fatto le denunce inoltrate alle forze dell’ordine

CASE – Non solo terra. A nascondere il veleno sono anche i mattoni della città. La ditta Pellini è finita sott’accusa per aver mischiato rifiuti e calcestruzzo per realizzare alcune fondamenta di alcuni edifici in località Spiniello. Case tutte fatte tra il 1998 e il 2003. Ma i palazzi non finiscono qui. Alessandro scava e riesce a raccogliere la testimonianza di un ex dipendente che vuota il sacco. Nel 2008 furono sequestrate diverse strutture della ditta, la discarica e un cementificio vicino considerato poi abusivo.

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