A gambe aperte – Vita violenta di Karin Schubert

Storie, set, quel gran pezzo dell’Ubalda, tutta nuda al Costanzo sciò. L’altra parte dell’Emanuelle, quella che non si è messa con Montezemolo

Storie miserabili, la rubrica che vi racconterà il quotidiano, quello che spesso vorremmo dimenticare, dei bassifondi. Per non dimenticare che c’è una realtà diversa dalla nostra, che non per questo scompare. E che bisogna conoscere.

“Zompala addosso, hai capito ?”. Set di “Quel gran pezzo dell’Ubalda…”, da qualche parte in Puglia, favolosi quegli anni ’70.

La devi da zompà, stronzo !”. Pippo Franco tiene gli occhi a terra. Si vergogna, vicino a lei è più brutto. La bionda tedesca accanto a lui invece sta guardando lontano, nel suo domani, quasi nel sole. E’ un domani altissimo. “Miss Kara, look me, luk mì miss, il mollicone lì zompa e tu ti scanzi, ok ?”. Occhei. E questo qui doveva essere il film colto ma per le famiglie del ‘72, “la liberazione della donna dai catenacci del maschio” con il linguaggio creato l’altro ieri da Monicelli e la cornice narrativa del Boccaccio pop, sdoganato appena ieri da quel catto-intellettuale, come si chiama. Pasolini. L’ha titolata, la sua rivisitazione, Trilogia della Vita. La rinnegherà dopo aver visto che alla fine ha prodotto anche questo. Solo il cinico critico Walter Veltroni avrà il coraggio di elogiare quello che stiamo girando.

Anch’io di vite ne vorrei tre. Edvige ha una parte uguale alla mia, ma io non sono fidanzata con il produttore come lei. Ci sono solo andata a letto. Ho un uomo da qualche parte ad Amburgo e non a Trani che ancora mi aspetta. Ma non mi sorveglia abbastanza: dice che ci sarà sempre per me, beato lui che non crede alla gioventù. Ho fatto all’amore anche con un bel ragazzo della compagnia. Sul set, dietro le mura di cartongesso: ci siam divertiti proprio con le cinture di castità. Passo già per una facile ma senza cervello: avrei dovuto evitare che la cosa arrivasse al produttore. Questi italiani sono così generosi quanto crudeli: forse si può esserlo soltanto così, arrivandoci, alla cattiveria, dalla strada tracciata dall’estremo opposto. C’è già uno che per darla mi ha offerto dei soldi. Non m’importa cosa penseranno: non ho ancora trent’anni e c’è stato il ’68. Forse, c’è stato pure in Italia. Rimarrò incinta se continuo così. Non m’importa. Amo e vivo.

QUEL GRAN PEZZO DELLA MAMMA –  Fine anni ’80, Umbria, da qualche parte di un casolare in fitto. Il sole è stranamente, perfidamente, ancora molto alto. “Zompalo addosso, hai capito stronza ! “. Karin fuma troppo nelle pause, è per questo, e non per altro (sia mai, il lavoro), che ogni tanto deve rifiatare. “Il puttanone gli zompa e facciamo che il cavallo non si scanzi ok ?”. Occhei. Tu gli zompi, attenta a non rovinare tutto, e poco importa che tutto il profumo che ti sei messa addosso per non respirare ti faccia lacrimare. La puzza è peggio. E poi hai imparato a non chiudere mai gli occhi. Ai produttori piace: purché non spari in camera, vederti piangere, magari di passione, è l’ideale per titoli come “Bestiale amore”. Morire sul palco ? Si, sotto colpi possenti, ridacchia. La signora Fenech intanto sta con l’erede Fiat. E lei qui. Da Pasolini a Moira Orfei. Guarda, va quasi bene. Va bene tutto. Purché lavori. La sera, a casa, ha lui. E tutta una notte poi. Una notte che fa tremare Dio. Che la passi a fumare. Che se ne va così, non ti sorveglia e perdi tempo a chiamarla. Mamma, dammi centomila lire. Appena divento grande, parto, torno da papà. Nel frattempo devo farmi una pera. Mamma, dimmi una bugia, che non mi lasci più. Mamma, fammi tu però la pera che a te le ho viste fare. Mamma, sono diventato un uomo adesso. In tutti i sensi. Mamma, non piangere ma, lo sai, non sono più brutto adesso, faccio papà, apri le gambe sennò ti torco il braccio.

ANDAVAMO AL COSTANZO SHOW – “E così coi produttori andava, male, sempre mille tensioni, mille difficol..”
“Che tipo di tensioni, signora Schubert ? “.
Ricatti, estorsioni vere e proprie”. Il conduttore coi baffi, Teatro dei Parioli a Roma in qualche buco rimasto dei televisivi anni ’90 dove del ’68 se ne stava parlando malissimo, sembrava contento. Karin Schubert, davanti il sole a regolazione dei fari, era su quella sedia da una oretta scarsa, al netto degli spot. E gli aveva risolto, alla grande, la serata. Soggetto interessantissimo, sebbene come donna fosse praticamente andata. ‘Na ‘ntronata da paura. Però bisognava essere gentile con lei. Era stata ai patti. Pe’ parlà pure del figlio, avevano fatto un forfait. Qui il malloppo e qui la confessione. Confessione ? Di più. Chissà quante ne ha aggiunte, a far peso.

Piange pure bene, che a fa’ la vittima si salva, ma quanto profuma.“A me servivano sempre soldi, tanti soldi e loro ne approfittavano. Anche con il telefono erotico ho perso la met..”“Pure quello ha fatto, mannaggia. Alla sua età, poi. Me lo promette che non ci pensa più a mettersi nei guai ? Annamo, Karin, basta a fa’ a Nonna de Cappuccetto Rosso col reggicalze nero e i coscioni, che poi povero il Lupo, tutta nuda e tutta calda che poi coi film che ha fatto ci prende il cimurro e su, lo faccia per noi, lo fa ? “. Si, si. Si tastò la busta in petto, fingendo commozione. Non c’è, dov’è. Il pianto adesso è a mille. Ah si, nelle mutande. Le chiudo queste gambe ora, solo così potevo, ahaha. Stavolta sono salva. Stavolta me li son fatti dare prima. A qualcosa l’Italia è servita. Poi magari stasera mi ammazzo. Lo fa, lo fa. Si, si. Sipario.

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