“Non permetterò che mio marito viva come un vegetale”

Un banale intervento alla bocca per la rimozione di due punti, poi l’arresto cardiaco, i gravi danni al cervello e lo stato vegetativo. Questo il tunnel nel quale Giuseppe Marletta, architetto catanese, è entrato nel 2010. Tunnel dal quale non è più uscito. Per questo, a due anni dall’incidente, la moglie Irene Sampognaro, insegnante 40enne, si batte perché suo marito venga sottoposto a cure a base di staminali mesenchimali. Cellule il cui uso per fini terapeutici non è però ancora consentito nel nostro Paese. “E’ l’unica speranza per Giuseppe” afferma disperata “se non mi daranno il permesso, chiederò l’eutanasia”.

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IL COMA – Giuseppe era entrato in coma vegetativo il 1 giugno 2010 dopo essersi sottoposto ad un semplice intervento chirurgico che prevedeva la rimozione di due punti di sutura alla mascella. Ma quel giorno qualcosa è andato storto nella sala operatoria dell’Ospedale Garibaldi Nesima ed il marito di Irene, il padre dei suoi due figli, non ha più fatto ritorno a casa.  “Mio marito Giuseppe era andato all’ospedale di Catania per sottoporsi a un banale intervento. Soffriva di sinusite e gli avevano assicurato che con quell’operazione il fastidio sarebbe scomparso” racconta Irene “Ma qualcosa è andato storto. Quando sono arrivata l’ho trovato in coma farmacologico, intubato. Il suo cuore aveva cessato di battere e aveva riportato danni devastanti al cervello. Adesso, anche se è ancora vivo, non comunica più e non è cosciente”. Così il bollettino medico scrive il nuovo corso della vita di Irene. “ Se questo fosse un paese civile mio marito non sarebbe finito in coma per un intervento banalissimo e per di più inutile. L’operazione che gli hanno fatto non c’entrava niente con il suo fastidio di sinusite”.

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AUTOTRAPIANTO – E’ una donna battagliera Irene Sampognaro, una di quelle forti, capace di non arrendersi mai a nessuna difficoltà. Una di quelle donne che sa sempre ciò che vuole, anche quando chiede semplicemente che il marito possa ottenere l’autotrapianto di cellule staminali mesenchimali, l’unica via che potrebbe, forse, rappresentare la salvezza di Giuseppe. Operazione che in Italia non può essere però fatta. Eppure Irene chiede di sottoporre suo marito a questa terapia, che viene somministrata dalla Stamina Foundation presso gli ospedali Civili di Brescia. E, all’inizio, ci stava anche riuscendo. Se non che, prima di intraprendere la cura, il pm di Torino Raffaele Guariniello l’ha bloccata aprendo un’inchiesta contro la fondazione bresciana. Dopo un’indagine del Ministero della Salute e dell’Aifa, il 5 novembre è arrivato lo stop da parte dell’Istituto superiore di Sanità e dell’Aifa. Così la terapia è stata considerata pericolosa per la salute e i laboratori dove veniva praticata inadatti, che in soldoni si è tradotto nello stop all’autotrapianto. Fine delle speranze per Giuseppe, quindi.

IL SILENZIO ASSORDANTE – Eppure Irene non ha rinunciato. Lo ha fatto capire in tutti i modi possibili. In questi due anni e mezzo di calvario, ha cercato attraverso lettere e proteste il sostegno delle istituzioni e della politica. La risposta è stata, però, un silenzio assordante, a cui si è aggiunto anche l’uccisione dell’ultima speranza di una cura. “Perché si tratta dell’unica cura rigenerativa in grado di riparare il danno celebrare che mio marito ha subito” spiega Irene. “Nel centro di risveglio in cui ha passato parte della degenza, l’unica terapia a cui era sottoposto era un’ora di ginnastica passiva al giorno. È ridicolo pensare che quattro massaggi facciano risvegliare dal coma”. E intanto mentre Giuseppe Marletta è “parcheggiato”, come afferma la moglie, in una residenza per anziani in un paese dell’hinterland etneo, nessuno ha ancora pagato per quell’errore medico che l’ha portato a vivere in stato vegetativo. “

LA MAGISTRATURA – Sicuramente” si sfoga Irene “le responsabilità di quanto è accaduto è dei medici, perché non è possibile che un uomo giovane, mio marito all’epoca aveva 42 anni, ed in perfetta salute non si risvegli più da un banale intervento”. Poi puntualizza: “Sul caso deciderà la magistratura. Il medico anestesista e l’infermiere in servizio nel corso dell’intervento sono stati rinviati a giudizio “per lesioni personali gravissime. Dopo l’operazione il commento dell’equipe medica è stato: “E’ perfettamente riuscita, i punti sono stati rimossi con successo”. La beffa è che quei medici continuano a svolgere la loro professione indisturbati.”. Intanto per loro l”ipotesi dell’accusa è che non avrebbero approntato le adeguate misure di rianimazione per Marletta. C’è stata già un’udienza preliminare a maggio e per il 12 dicembre ne è stata fissata un’altra. I due imputati sarebbero però ancora in servizio all’Ospedale, ma sulla vicenda la direzione dell’Azienda Ospedaliera Garibaldi rimane in silenzio dichiarando “che ci sono dei giudici che decideranno e – quindi – aspettano la sentenza “.

L’APPELLO – “ La cosa che mi sembra più assurda è che coloro che hanno causato il coma di Giuseppe sono rimasti al loro posto, chi invece sperimenta nuove cure viene ostacolato in tutti i modi. Affermare che le staminali sono più pericolose dello stato vegetativo è un vero insulto all’intelligenza. Il pericolo è rappresentato da chi lucra su questi malati che non hanno nulla da perdere sottoponendosi a delle sperimentazioni mediche”. Così Irene ha preso la decisione più difficile, e l’ha annunciata a tutti: “Io cercherò in tutti i modi di far sottoporre Giuseppe alle cure delle cellule staminali, diversamente – confida – io non posso permettere che lui continui a vivere come un vegetale, non lo vorrebbe anche lui”. Se non potrò sottoporre mio marito alle cure staminali farò ricorso alle sedi opportune perché mio marito smetta di soffrire”. Un appello forte, una minaccia chiara fatta proprio verso il Governo che ha messo in dubbio anche i fondi per la non autosufficienza. Un modo per attirare l’attenzione sul marito ma anche sulle decine di migliaia di malati che di questo trapianto avrebbero necessità e non possono invece riceverlo.

OMICIDIO – “Già perché ai i malati in stato vegetativo – denuncia Irene – in Italia non viene garantita un’assistenza adeguata e non vengono permesse delle terapie sperimentali. Mi dicono che non ci sono le autorizzazioni per fare queste cure, allora io mi dico – incalza – quando hanno ucciso mio marito, perché quello di mio marito io lo considero un omicidio, in ospedale mica mi hanno chiesto l’autorizzazione”. Per questo Irene si sente sola, abbandonata dallo Stato. “Sono rimasta sola con due bambini e l’unico reddito da insegnante. Percepisco la pensione minima di architetto e di invalidità di mio marito ma si tratta di cifre ridicole. Il sistema sanitario nazionale per me è un sistema malato, corrotto. A sud soprattutto i pazienti in stato vegetativo sono abbandonati, o peggio, costituiscono un business. Al sistema saninario costano 800 euro al giorno se soggiornano nei centri di risveglio. Adesso Giuseppe è in un Rsa, praticamente una residenza per anziani, perché con i bambini piccoli non riesco a tenerlo in casa, ma si tratta di una struttura inadeguata per pazienti in coma.

PARCHEGGIATO – E’ parcheggiato lì e vegeta. Assume farmaci costosissimi e sicuramente c’è qualcuno che sta guadagnando sul suo sangue. Le case farmaceutiche esultano su questi pazienti in agonia controllata. Lo Stato è rimasto indifferente: si proclama in favore della vita ma poi non la tutela. Anche l’indifferenza è una forma di eutanasia”. Lo dice, lo ripete, puntando il dito contro lo Stato italiano: “Viviamo in uno Stato incivile, in cui noi cittadini non contiamo nulla”. Irene parla del marito come di “Vita sospesa in un limbo, così come quella di tutta la sua famiglia. E sostiene che solo la morte può essere la cessazione della sofferenza. Una storia che porta la memoria al caso Englaro, proprio nel giorno in cui il canadese di 39 anni, Scott Routley, in stato vegetativo da 12 anni in seguito a un incidente, sarebbe stato in grado di rispondere ad alcune domande dei medici, grazie ad un esame sulla sua attività celebrale. E mentre il dibattito etico morale su eutanasia e dolore prende vita, tra favorevoli e contrari, e ci si interroga cosa sia più giusto per il malato, Ilaria appare però irremovibile: “Mio marito vorrebbe si staccasse la spina” afferma. “Nessuno dovrebbe vivere per soffrire”. Se così fosse, come darle torto allora.

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