La Svizzera del Medio Oriente

La guerra in Siria preoccupa meno delle recenti minacce da parte d’Israele.

L’OASI LIBANESE – Al di là della frontiera è un pandemonio, ma il Libano non si è trasformato nelle retrovie di una guerra dalla quale i libanesi vogliono in tutta evidenza restare fuori. Il regime di Assad non ha evidentemente in programma d’estendere il conflitto a Beirut e così per ora le uniche violazioni dei confini libanesi si riducono a qualche scaramuccia tra siriani che deborda e alle tradizionali incursioni aeree israeliane, che continuano nonostante il divieto dell’ONU e gli impegni presi di fronte alla comunità internazionale

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LA VISITA PAPALE – Sembra proprio che la settimana prossima Papa Benedetto XVI potrà sbarcare a Beirut in tutta tranquillità, La sua visita, la prima di un Papa dal 1987, è benvenuta anche da Hezbollah, vidimata persino da una delle rarissime interviste del leader Nasrallah, che ci ha tenuto a fornire le sue personali rassicurazioni in merito.

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IL RIFIUTO DELLA GUERRA CIVILE – I libanesi guardano con preoccupazione a quanto accade a Damasco, ma nessuna delle innumerevoli fazioni libanesi, nemmeno quelle che hanno potuto contare per anni sul patronage degli Assad, sembra disposta a spendersi per intervenire in Siria e ancora meno per riprodurre in Libano una guerra civile che il paese ha già sperimentato e che non vuole nessuno, neppure i più estremisti. La follia della guerra civile tutti contro tutti è un’esperienza che non vuole ripetere nessuno e che ha segnato ogni famiglia con una lunga scia di lutti, costringendo altrettanti alla fuga e all’esilio.

NESSUN VANTAGGIO – Nessuna delle fazioni sembra poi avere interesse reale a schierarsi nel conflitto siriano, neppure Hezbollah, che nel caso rischierebbe di veder sciogliere come neve al sole la sua impostazione nazional-patriottica e di passare per una pedina di Assad agli occhi dei libanesi. L’unica eccezione che conferma la regola si ritrova nella città di Tripoli, dove insistono gruppi sunniti e jihadisti che vivono accanto a una robusta comunità alawita. Circostanza che ha dato vita a diversi scontri armati che però si sono esauriti entro i confini cittadini.

IL CONTROLLO DEL TERRITORIO – Paradossalmente in Libano è infatti molto meno facile operare per i gruppi estremisti sunniti che in Siria. Il controllo del territorio assicurato dalle varie fazioni e la loro collaborazione reciproca nel respingere infiltrazioni sgradite lascia pochissima agibilità a questi gruppi, che politicamente peraltro sono irrilevanti.

LE SPIE ITALIANE – Non sono sfuggiti agli occhi dei libanesi nemmeno i quattro improbabili italiani in missione in Siria per conto dei nostri servizi segreti: “I quattro presunti contractori ingaggiati dall’Aise, come scritto da Globalist giorni addietro, avevano esibito regolari passaporti italiani, ma con nomi anglofni: James Newton, Andrew Robert, Thomas Oliver e Sam, la cui presenza non era passata inosservata ad alcuni miliziani delle forze tribali dell’area nord della Bekaa che si erano accorti dei movimenti sospetti dei quattro ed avevano notato la presenza di una Range Rover nera e di una Jeep Tri Blazer nera con le quali i contractors erano andati in Siria per poi tornare in Libano due giorni dopo”.

LE CONTROMISURE – I libanesi sono accorti e quando si è trattato di rispondere ad attacchi e rapimenti di esponenti libanesi in Siria, la rappresaglia è scattata misurata ed efficace, con il rapimento di diversi cittadini di paesi del Golfo, i governi dei quali hanno recepito il messaggio e sono intervenuti per rimettere le cose a posto in Siria, dove i gruppi che finanziano avevano intrapreso questo genere di pessima iniziativa poco gradita  a Beirut e dintorni. Il Libano sarà anche un paese fragile ed esposto alle influenze straniere, ma da tempo i libanesi hanno sviluppato intelligenza e lucidità sufficienti a non cadere in tranelli del genere. Un buon viatico per il futuro, che quando sarà caduto il regime di Assad sarà da reinventare su basi e rapporti di forza necessariamente diversi.

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