Storie paralimpiche

Boris Johnson, sindaco di Londra, lo dice chiaramente: “Gli atleti paralimpici hanno più roba seria di qualsiasi altro”. La competizione degli atleti disabili è pronta a stupire il mondo, e l’edizione di Londra è forse la prima volta in cui il fenomeno paralimpico viene seguito e apprezzato dal grande pubblico. Così, superato l’imbarazzo del politicamente corretto, le stampe indagano, cercano, si fanno raccontare le storie e le vite dei nuovi beniamini.

 

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LE BOMBE DI LONDRA – Dietro ogni atleta disabile c’è la storia di chi ce l’ha fatta, di chi ha superato un evento traumatico della propria vita e ha scelto di continuare a lottare, di trasformare il proprio problema, la propria difficoltà in una forza, in coraggio.

Come l’atleta del team inglese della pallavolo seduta, Martine Wright. Lei, il 6 luglio del 2005 era rimasta alzata fino a tardi per festeggiare insieme ai suoi amici la scelta del comitato Olimpico Internazionale, quella di assegnare i giochi del 2012 a Londra. Prese la metro, tornò a casa tardi e il giorno dopo riprese il Tube, linea Circle, pera andare al lavoro. Ancora non sapeva che questo suo ritardo “olimpico” avrebbe cambiato la sua vita da quel momento in poi: perché il 7 luglio la metropolitana di Londra fu vittima dei terribili attacchi del cosiddetto 7/7. Quattro attentatori suicidi fecero saltare due treni della Cirle e uno della Piccadilly: su uno di essi c’era Martine. Che sentì la chiamata alle olimpiadi, viste le circostanze in cui si procurò le ferite che imposero l’amputazione delle sue gambe.

DESTINO – Anche l’ospedale era vicino al campo di allenamento della pallavolo paralimpica e il luogo in cui fu proclamata parte della nazionale GB era davanti al suo luogo di lavoro. Impossibile, dice il Guardian, ignorare queste coincidenze: “Qui c’è davvero qualcosa”, dice. “Non so se è qualcosa di spirituale, o è il destino, ma davvero credo che era necessario che io facessi questo viaggio. Mi ritrovo a non poter ignorare queste frecce, queste indicazioni, che mi hanno portato dove sono ora, e mi hanno fatto pensare che in qualche modo avrei sempre dovuto far questo”. Da due anni si allena per la pallavolo seduta, ha sposato il suo ragazzo, cresce suo figlio e la sua vita “le ha dato molte occasioni, nonostante il suo handicap”.

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