Chi era la Circe della Versilia?

Tamara e Diego Iacopi, figli di Maria Luigia Redoli, più nota come la Circe della Versilia, hanno formalizzato alla polizia la loro contrarietà alla richiesta di grazia avanzata dalla madre. Lo rivela oggi il quotidiano “Il Tirreno”.

TUTTA COLPA DI TAMARA – Il quotidiano pubblica in esclusiva anche una lettera dei figli nella quale attaccano pesantemente la madre, condannata all’ergastolo insieme all’ex amante Carlo Cappelletti e ora detenuta nel carcere milanese di Opera. Il caso della Circe della Versilia – ovvero l’omicidio con 17 pugnalate di Luciano Iacopi avvenuto il 17 luglio del 1989 nella sua casa di Forte dei Marmi – è tornato d’attualità negli ultimi mesi dopo la pubblicazione del libro “Nel buio di una notte di luglio” del giornalista e scrittore Mario Spezi nel quale Maria Luigia Redoli, dopo ventitrè anni, insinua che ad aver tramato per la morte del marito sia stata proprio la figlia Tamara.

E’ MALVAGIA – La Circe le avrebbe infatti attribuito una telefonata intercettata dai carabinieri ad un mago di Viareggio in cui si parla di un compenso da restituire pagato ad un killer assoldato per uccidere Luciano Iacopi. Una telefonata fino ad oggi ritenuta di Maria Luigia Redoli e che nel processo è stato uno dei punti cardine dell’accusa. Adesso i figli della Circe, nella lettera al Tirreno, accusano la madre di aver inventato quella circostanza “per tornare sulle prime pagine dei giornali o in televisione” e chiudono con lei ogni possibile rapporto: “Considerato quello che è accaduto – scrivono Tamara e Diego Iacopi – oggi non intendiamo darle neanche una adeguata sepoltura: per noi è già morta e sepolta”. Poi aggiungono: “Si è risposata ma non e’ servito a nulla. Neanche la vita matrimoniale e quella del carcere sono servite a rabbonire il suo animo cattivo e malvagio”.

IN UN LAGO DI SANGUE – Ma quali furono i fatti che hanno portato alla morte di Luciano Iacopi, avvenuta nel garage della sua viletta il 17 luglio 1989? Luciano Iacopi, 69 anni, era un ricco mediatore immobiliare e marito di Maria Luigia Redoli, la quale scoprì il cadavere riverso in una pozza di sangue. Il ritrovamento avvenne al termine di una serata in discoteca trascorsa con l’amante, Carlo Cappelletti ventiquattrenne dal fisico imponente già carabiniere a cavallo, e i figli di lei, Tamara e Dario. La donna, piacente cinquantenne dalla bellezza prorompente, venne ritenuta tra i principali sospettati dagli investigatori coordinati dal Pm Domenico Manzione.

FATTURE – Il movente era dato dal patrimonio della vittima. Lo stesso valeva per l’amante. Cappelletti voleva abbandonare l’arma, Tamara, una copia della madre anche nel modo di camminare, in un primo tempo viene compresa nel novero dei sospettati, tanto da essere arrestata per un periodo, a causa dell’odio che covava per il padre. Basti dire che era solita trafiggere una sua foto con degli spilloni. Iacopi inoltre aveva molti nemici visto anche il suo “vizietto” di prestare soldi a tassi non proprio legali. A seguito di alcune intercettazione si scoprì che la Redoli si rivolse ad alcuni maghi per una fattura da compiere contro il marito, ma evidentemente la magia nera non funzionò come lei sperava.

CHIUSA A CHIAVE – A quel punto entrò in scena la ricerca di un killer. Per convincerlo, una valigia con 15 milioni pronta per l’occasione. Peccato che il tramite, Marco Porticati di Viareggio, intascò la cifra e non assoldò nessun killer. La donna decise allora di fare da sola. Cosa che in effetti fece, dimenticando però un piccolo particolare, la porta che divideva la casa, dove Iacopi si spogliò, ed il garage, dove venne ucciso. La porta era chiusa a chiave, e l’unica che avrebbe potuto farlo era la Redoli. Nel settembre 1991 arrivò la condanna per i due amanti all’ergastolo. La coppia proclamò sempre la propria innocenza. Ad inchiodarli, proprio quella porta.

LA PRIMA ASSOLUZIONE –Non sono pochi i particolari relativi alla malefica “circe”. La Redoli, in menopausa, fece credere al giovane amante di essere in attesa di un figlio da lui, mentre i figli Tamara e Diego erano stati concepiti con un altro amante, circostanza di cui la figlia maggiore era a conoscenza. La coppia, condannata in primo grado, venne assolta per non aver commesso il fatto il 17 aprile 1990. Cappelletti venne condannato a due anni e due mesi di reclusione per detenzione e porto abusivo d’armi, ma niente di più. Manzione, ricorrette in appello presso la seconda corte d’assise di Firenze confermando il suo impianto accusatorio: Cappelletti avrebbe colpito Iacopi in garage, luogo nel quale sarebbe stato attirato dalla moglie e con questa arrivò la conferma della condanna. (Photocredits quotidiano.net, lanazione.it, kataweb.it, oggi.it).

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