C’è un pasticcio brutto sulla legge dei sacchetti biodegradabili per frutta e verdura

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Lo spiega Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace

Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace, spiega oggi come la nuova (e tanto discussa) legge sui sacchetti di plastica venduti per conservare frutta e verdura acquistati nei supermercati sia un pastrocchio. Greenpeace sostiene ha lanciato una petizione, diretta al Ministro dell’Ambiente, per chiedere all’Italia di schierarsi per proteggere il mare e gli organismi che lo popolano con posizioni rigorose e ambiziose nell’ambito di alcune direttive comunitarie sulla gestione dei rifiuti, inclusa la plastica. E anche se la nuova legge sui sacchetti biodegradabili per l’ortofrutta, entrata in vigore lo scorso 1 gennaio, è senz’altro una ottima idea c’è un cortocircuito non da poco.



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«Rischia di rivelarsi un clamoroso boomerang per l’ambiente», spiega Ungherese. «Come già avvenuto 5 anni fa con la legge sugli shopper tradizionali, l’intenzione di partenza della nuova legge sui sacchetti ultraleggeri per asporto dei generi alimentari (quelli usati per frutta e verdura nei supermercati) è di superare l’uso della plastica tradizionale. Tuttavia, contrariamente a quanto avvenuto con gli shopper, non è consentito usare sacchetti ultraleggeri riutilizzabili: un divieto che nella stessa legge non è presente». Nella normativa non c’è esplicitamente indicato il divieto di utilizzo di sacchetti riutilizzabili, ma nella circolare del Ministero dell’Ambiente inviata a fine 2017 alla grande distribuzione sì.

Dato che si sono sollevate una serie di obiezioni sia il Ministero dell’Ambiente che il Ministero dello Sviluppo Economico hanno espresso la loro disponibilità per l’impiego di sacchetti riutilizzabili, e il Ministero della Salute, che ha detto sì ai sacchetti monouso, a patto che siano vergini. Quindi, ricapitolando, o si usa il sacchetto che si trova nel supermercato oppure si può portare un sacchetto nuovo, mai usato, da casa. «Una scelta – spiega Ungherese su Greenpeace – che purtroppo ci costerebbe molto di più dei 1/3 centesimi che paghiamo al supermercato)».



Il materiale consentito è quello della plastica biodegradabile, materiale che, se finisse accidentalmente in mare, potrebbe degradarsi in tempi più brevi, ma non brevissimi. Un materiale – spiegano dall’associazione ecologista – che potrebbe comunque finire come mangime (nocivo) per la fauna marina. «Il fatto di mostrare il costo di pochi centesimi – aggiunge – dovrebbe servire come deterrente per disincentivarne l’uso (vedendo quanto lo paghiamo dovremmo essere invogliati a non usarlo, così come avvenuto per la busta della spesa della cassa che, da quando è entrata in vigore la legge 5 anni fa, ha permesso una riduzione del numero dei sacchetti di circa il 50%). Tutto questo discorso, che in poche parole replica lo schema della legge sui sacchetti che troviamo in cassa, non ha però più alcun senso se non abbiamo a disposizione l’alternativa (il sacchetto riutilizzabile). Ecco perché le persone percepiscono i pochi centesimi del sacchetto come una tassa da cui non si può scappare».

L’unica alternativa logica e sostenibile per l’ambiente – sottolineano su Greenpeace – è quella di consentire l’impiego di un sacchetto (“sporta”) riutilizzabile.



(in copertina clienti di un supermercato di Napoli con i sacchetti biodegradabili il cui costo, come indicato da cartelli, e’ di un centesimo , 4 gennaio 2018. FOTO ANSA / CIRO FUSCO)