Pif risponde alle polemiche: «Io criticavo Renzi anche quando era potente»

11/12/2017 di Redazione

«Renzi lo criticavo anche quando era potente». Pif risponde così alle polemiche di questi giorni che si sono alzate dopo il suo no alla Leopolda. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera a fine novembre il regista palermitano, che nel 2013 e 2014 sembrò credere alla rivoluzione e alla rottamazione del leader che sarebbe poi diventato il segretario del Pd, ha spiegato perché ha deciso di rinunciare alla partecipazione alla kermesse prendendo le distanze da alcuni spetti della politica renziana. Oggi, ancora dalle colonne del Corriere, replica all’accusa di aver appoggiato l’aspirante premier fiorentino negli anni scorsi solo per un interesse personale, per fare carriera, e di averlo poi abbandonato dopo il declino.

PIF RISPONDE ALLE POLEMICHE SULLA SUA CRITICA A RENZI

Pif sottolinea di aver fatto nell’intervista semplicemente lo stesso ragionamento politico (sugli impresentabili, sull’alleanza con Verdini ad esempio) fatto già alla Leopolda tre anni fa, proprio di fronte a Matteo Renzi, in quel momento presidente del Consiglio:

Nei giorni a seguire, alcuni commentatori politici, giornalisti, editorialisti (chiamateli come volete voi), hanno tradotto quel mio ragionamento politico così: «Quando Renzi è vincitore, Pif lo appoggia e fa carriera. Quando Renzi cade in disgrazia, Pif lo abbandona». La prima cosa che ho pensato è stata: perché negli anni in cui ho scelto di non andare alla Leopolda, nessun giornalista me ne ha chiesto il motivo? Perché non hanno fatto questo ragionamento quando criticavo Renzi da presidente del Consiglio e, quindi, molto più «potente» di ora? Ma soprattutto, perché non entrano nel merito delle mie parole? Penso che questa sia la risposta: perché in questo periodo storico le dichiarazioni e i fatti sono irrilevanti, contano solo i pretesti e lo scatenamento della indignazione.

Il regista evidenzia dunque la degenerazione del dibattito politico, con particolare responsabilità dei giornalisti che da editorialisti che si sono trasformati in «twittisti» o «facebookisti»:

È troppo «elaborato» contestare una scelta con un ragionamento, è molto più facile lo schizzo di fango (e scrivo fango giusto perché sono sul Corriere) e ottenere tanti like, anche immaginari. Negli anni ’70, grazie a Dio adesso accade molto meno, ci si menava per difendere la propria idea di società, perché la visione politica dell’avversario era ritenuta pericolosa per il proprio Paese. La gente ci metteva la faccia e a volte ce la «rimetteva» fisicamente, per i pugni. Oggi si tirano meno pugni, e meno male, ma sostituiti, però, da schizzi di fango (e scrivo fango giusto perché sono sul Corriere). Il meccanismo «scatena l’indignazione» ha preso il sopravvento anche nella testa delle persone che, in qualche modo, dovrebbero alimentare il ragionamento e il dibattito, cioè i giornalisti. Non tutti evidentemente, non comunicherei con un quotidiano se lo pensassi.

(Foto: ANSA / MASSIMO PERCOSSI)

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