Il Fatto Quotidiano si chiede quanti casi Weinstein ha creato il Jobs Act

Cosa c’entra il Jobs Act con il caso Harvey Weinstein, il produttore cinematografico americano accusato di violenza sessuale da decine di attrici? Probabilmente nulla, perché una storia di stupri e una riforma del diritto del lavoro appartengono a due mondi diversi e molto lontani. Il fondatore della Miramax viene ritenuto colpevole di aver commesso per anni uno dei delitti più atroci e schifosi, capace di segnare irrimediabilmente la vita di una persona, causando anche seri problemi sociali e relazionali, depressione, perdita di autostima, senso di vergogna. Ferite difficilmente rimarginabili. La legge del governo Renzi va annoverata tra le scelte politiche, le normative discusse, condivise o contestate, che riscuotono approvazione o disappunto, ma che non costituiscono reato e non possono essere nemmeno considerate la causa di sistematici gravi abusi gravi.

IL FATTO QUOTIDIANO, IL CASO WEINSTEIN E IL JOBS ACT

Eppure c’è chi prova a legare le due cose. Sul suo blog sul Fatto Quotidiano il giornalista Mimmo Lombezzi in un breve post dal titolo ‘Molestie sessuali, quanti casi Weinstein ha creato il Jobs Act?’ spiega che la vicenda del produttore americano ha riaperto il dibattito sugli abusi sul posto di lavoro e propone delle domande all’ex premier Matteo Renzi tirando in ballo l’abolizione dell’obbligo di una ‘giusta causa’ per licenziare. «Quante precarie in più si saranno sentite proporre la famosa alternativa: ‘Se ci stai lavori se no te ne vai?’, chiede il giornalista al segretario Pd. Il tutto dopo aver simpaticamente proposto un calcolo del costo economico per una mancata ‘confricazione’ sostenuto da Weinstein quando Asia Argento gli negava le sue grazie.

 

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Va precisato che casi di ricatti sessuali ai danni delle lavoratrici sono molto diffusi, nel mondo e anche nel nostro Paese. Ma è senz’altro eccessivo derubricare il caso Weinstein ad una vicenda tra datore e dipendente. È stata Asia Argento a chiarire in questi giorni di non aver più lavorato con il produttore dopo la violenza subita e di non aver quindi tratto vantaggi di carriera da quella terribile esperienza. Parlare di Jobs Act dà l’idea di voler attribuire al predatore malato di sesso una qualifica meno grave, come se in quei rapporti vi fosse uno scambio di favori. Una qualche convenienza, diretta o indiretta. Dà  l’idea che quel predatore possa in qualche modo essere giustificato da un interesse della sua vittima.

Le critiche all’articolo non si sono fatte attendere. E sono state rivolte anche ai direttori di quotidiano e sito. «Raramente ho letto qualcosa di più disgustoso. Travaglio e Gomez si vergognino di pubblicare simile spazzatura», ha scritto ad esempio su Twitter Luciano Nobili, membro dell’esecutivo Nazionale Pd e responsabile per le città metropolitane. Sulle bacheche dei social sono in tanti ad aver manifestato indignazione. «Nemmeno Libero e il Giornale erano arrivati a tanto», è un altro messaggio pubblicato su Twitter. E ancora: «Il livello di stupidità supera la soglia del ridicolo». «Gente che scrive di cose che non conosce».

(Foto da archivio Ansa. Credit: Future-Image via ZUMA Press)

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