La ricetta per combattere l’Hiv in carcere

09/10/2017 di Redazione

C’è una ricetta per combattere l’Hiv in carcere. A svelarla è un progetto presentato pochi giorni fa denominato ‘Free to live well with Hiv in Prison’ e promosso da Simpse (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria), Nps Italia Onlus (Network persone sieropositive, il primo gruppo in Italia fondato esclusivamente da persone sieropositive) e Università Ca’ Foscari Venezia. L’obiettivo è quello di migliorare la prevenzione dell’infezione nelle strutture carcerarie e favorire un mutamento nella gestione dell’infezione a definire modelli di buone pratiche che possano essere adottati anche in altre strutture.

Nell’ambito del progetto è stata effettuata, su un migliaio di persone e in 10 carceri italiane, anche una ricerca, che evidenzia tanti timori infondati e rischi sottovalutati dai detenuti. Tra i timori infondati più diffusi ci sono la scarsa igiene, le punture di zanzare la resistenza da parte del virus ai disinfettanti. C’è poi la paura della saliva, considerata un veicolo del virus da 4 persone su 10, e dell’urina, considerata una possibile fonte di contagio da quasi una persona su tre. Sono sottostimati invece i rischi legati ad eventuali risse, considerate innocue dal 60 percento dei rispondenti, e allo scambio di spazzolini e di rasoi.

 

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HIV IN CARCERE, UN PROGETTO RIVELA COME COMBATTERLO

Come riportato dall’Adnkronos, la ricerca, effettuata grazie ad un contributo non condizionato di ViiV Healthcare e con il patrocinio di Ministero della Giustizia e Ministero della Salute, offre per la prima volta un quadro completo per la conoscenza sull’Hiv nei penitenziari italiani, e consentirà la possibilità di erogare una formazione ad hoc per promuovere la prevenzione anche con l’ausilio dei test. Ma la ricerca mette anche il luce il valore dell’educazione tra pari per fare una corretta informazione sia nei confronti dei detenuti sia della polizia penitenziaria. Tra i vari aspetti considerati, l’attenzione di è concentrata anche sulla disponibilità degli stessi detenuti a diventare educatori degli altri. Complessivamente il 47,7% percento la considera una buona idea, perché tra i compagni ci si ascolta e ci si capisce di più.

Una delle novità del progetto è poi rappresentata dall’introduzione nelle carceri, per la prima volta, dei test Hiv rapidi. Insieme ad un programma formativo allargato anche al personale sanitario e alla polizia penitenziaria, i test rapidi si sono dimostrati uno strumento di screening valido per la rapidità di risposta, l’immediatezza di esecuzione e la possibilità di realizzare un counselling efficace.

(Foto Dpa da archivio Ansa. Credit: Britta Pedersen / dpa-Zentralbild / dpa)

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