A Cosenza il capolarato razzista che pagava i migranti in base al colore della pelle

22/09/2017 di Redazione

Un’azienda agricola di Cosenza pagava in nero i migranti, e li discriminava razzialmente nella retribuzione del loro lavoro. L’arresto di due fratelli proprietari dell’impresa nell’ambito di un’operazione contro il capolarato ha fatto emergere una peculiarità nel reclutamento dei migranti. Le accuse per cui è stato adottato il provvedimento di fermo sono intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, con l’aggravante della discriminazione razziale. L’inchiesta condotta dai pm della procura di Cosenza si basa sullo sfruttamento nei campi agricoli dei migranti ospitati nei centri d’accoglienza. Secondo quanto risulta dalle indagini i due fratelli impiegavano come braccianti i richiedenti asilo africani, insieme a rumeni e indiani, e li pagavano, in nero, in base al colore della pelle.

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Chi era bianco prendeva 35 euro al giorno, mentre chi aveva un diverso colore della pella guadagnava 10 euro in meno. La discriminazione razziale rilevata dalla procura di Cosenza era subita dai rifugiati, principalmente provenienti da Nigeria, Gambia, Senegal e Guinea Bissau, che erano di solito prelevati in una strada vicina al centro di accoglienza «Ninfa Marina» e portati a lavorare nell’azienda agricola dei due fratelli arrestati. Le indagini hanno evidenziato anche le condizioni di lavoro degradanti a cui erano sottoposti i braccianti in nero: dormivano in baracche, mangiavano a terra ed erano sottoposti a una sorveglianza molto severa da parte dei due fratelli arrestati. I due fratelli arrestati sono di Amantea, comune in provincia di Cosenza, e avevano 48 e 41 anni. Disposto anche il sequestro preventivo dell’azienda e di altri beni mobili di proprietà dei due indagati, per un valore di circa 2 milioni di euro.

Foto copertina: ANSA/UFFFICIO STAMPA GDF

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