Cosa resta del Blue Whale: centinaia di segnalazioni, ma solo un caso accertato

Storia di una psicosi collettiva, alimentata da un certo tipo di stampa. Ecco cosa resta del Blue Whale, l’assurdo gioco su internet che, nei mesi scorsi, aveva terrorizzato le famiglie italiane ed europee. Il fenomeno, ammesso che sia mai esistito, sembra essere scomparso: non vengono più fuori i video che, in primavera, spuntavano come funghi e nessuno ne parla più.

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BLUE WHALE, COSA HA STABILITO LA PROCURA DI MILANO

E a mettere, con ogni probabilità, la parola fine a quella che davvero è sembrata essere l’ennesima fake news che circola sul web, arrivano i dati della procura di Milano che, in quest’ultimo periodo, si è data da fare per analizzare e tentare di contrastare il fenomeno. Bene: delle centinaia di segnalazioni che hanno riempito gli uffici dei magistrati, a oggi, si è riuscito ad accertare soltanto un caso.

BLUE WHALE, UN SOLO CASO ACCERTATO

Si tratta di una 20enne milanese che, stando a quanto riferito dalla polizia postale, avrebbe convinto una ragazzina di 12 anni che vive tra Roma e il nord Italia a procurarsi dei tagli sulle braccia. Il tutto attraverso Instagram, il social network scelto per questo scopo. La procura milanese, in questo caso, sta indagando per istigazione al suicidio. Tutto il resto, invece, sembra essere stato un gigantesco falso allarme.

Le segnalazioni arrivate alla procura di Milano negli uffici del pm Cristian Barilli (del dipartimento guidato dal pm Cristiana Roveda) hanno portato sì all’apertura di una serie di fascicoli per accertamenti anche su casi di suicidio o tentato suicidio, alcuni dei quali avrebbero riguardato studenti di una stessa scuola del Milanese. Ma il più delle volte si è trattato di atti piuttosto lievi di autolesionismo come semplice emulazione di un fenomeno che sembrerebbe essere stato ingigantito dal tam tam mediatico.

BLUE WHALE, LA POLEMICA DOPO IL SERVIZIO DELLE IENE

Del resto, che qualcosa non stesse andando per il verso giusto, se n’erano accorti anche i principali network. Clamorosa, ad esempio, fu l’operazione portata avanti da Selvaggia Lucarelli per il Fatto Quotidiano, che arrivò a far confessare a Matteo Viviani – giornalista del programma Mediaset Le Iene che per primo aveva parlato del fenomeno in Italia – di aver utilizzato dei materiali falsi per confezionare il suo servizio. Del resto, come dimostrato dal sito di debunking Valigia Blu, le ricerche su Google del Blue Whale in Italia erano praticamente inesistenti prima del servizio delle Iene. Basta tutto questo per archiviare definitivamente il Blue Whale come un fenomeno creato dalla potenza di alcuni mass-media?

 

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