Roberto Saviano a El País: «A Napoli c’è gente che mi sputa addosso, ma io non sono un nemico della città»

Roberto Saviano confessa al settimanale del quotidiano spagnolo El País: «C’è una parte di Napoli che mi è molto ostile. Se ti porto a fare un giro lo vedi con i tuoi occhi: c’è gente che mi sputa addosso». Lo scrittore ha raccontato il suo rapporto con la città partenopea in una lunga intervista, pubblicata in vista dell’uscita in Spagna del suo libro La paranza dei bambini, tradotto come La banda de los niños ed edito da Anagrama.

«Dicono che ho fatto denaro a costo della città», spiega al giornalista Vicente Verdù, che è stato costretto per motivi di sicurezza a intervistarlo in auto, con 5 carabinieri a vigilare, anziché in un albergo di Bologna, come previsto. Proprio «la reclusione – scrive il giornalista spagnolo – fa parte della sua leggenda e anche del fascino per i suoi libri, serie e film», e Roberto Saviano non lo nega. Lo scrittore di Gomorra, però, non riesce a spiegarsi come mai: «Il denaro onesto che ha guadagnato una persona che scrive è un problema, ma quello che hanno fatto i criminali durante tutti questi anni no».

ROBERTO SAVIANO: «NON PARLO MALE DI NAPOLI, RACCONTO UNA FERITA, PERCHÉ SI RISOLVA»

«Quello che faccio io non è parlare male della città. È raccontare una ferita perché si risolva», spiega Roberto Saviano, raccontando a El País di quando a Scampia sono scesi in piazza per manifestare contro di lui. «Quando però ci sono tornati i figli di Di Lauro, narcos usciti dal carcere, nessuno ha fatto nessuna manifestazione. Nessuno ha detto di non volerli perché erano stati 10 anni in carcere. Hanno solo manifestato contro di me. Anche oggi c’è un manifesto online che si chiama Scampiamoci da Saviano», ha aggiunto lo scrittore.

L’ostilità dei suoi concittadini, insieme alle minacce dei camorristi, tengono lontano Roberto Saviano da Napoli, dove torna soprattutto in occasione dei processi. «Non posso andarci come prima», ma – aggiunge – «Quanto più mi allontano, più scrivo su Napoli. La distanza aumenta la vicinanza del cuore, del pensiero, dell’analisi. Tutto il mio distanziamento è un modo per continuare a essere a Napoli. È la mia terra, la conosco molto bene e mi manca. Per questo mi sembra un’infamia che mi chiamino nemico della città. Ogni volta che chiudo un contratto, cerco in Google: “Casa in vendita a Napoli”. Allora chiamo la banca per chiedere un’ipoteca, e il tipo mi risponde: “Sicuro a Napoli?”. Poi attacco il telefono e non richiamo».

ROBERTO SAVIANO: «SE I DELINQUENTI S’ISPIRANO AI MIEI PERSONAGGI, NON SIGNIFICA CHE NON ABBIANO COMMESSO LO STESSO I DELITTI»

Vicente Verdù chiede a Roberto Saviano se non ha paura che i suoi libri corrano il rischio di emulazione. «I camorristi usano le stesse parole dei miei personaggi e ne sono coscienti. Ma non scrivere su questi temi non eviterà che continueranno a fare quello che fanno. Se non hanno Gomorra, avranno Scarface o Il Padrino. Sono criminali, che vedono in queste storie la propria rappresentazione. Il fatto che i delinquenti s’ispirino alla serie non significa che non abbiano commesso lo stesso i delitti. Tuttavia riconosco che il mondo criminale si vede così rappresentato nelle mie storie, che vi cerca parte della sua identità», risponde. Quello che gli dà più fastidio sono i titoli dei giornali: “Attentato come in Gomorra” o “Rapina come in Gomorra”, ma «tutto questo accadeva anche prima».

Roberto Saviano vive sotto scorta da oltre 11 anni, da quando – e di anni ne aveva solo 26 – ha pubblicato “Gomorra”. Il giornalista de El País gli chiede se, potendo tornare indietro, riscriverebbe il libro. «Non lo rifarei allo stesso modo», confessa. «Li ho sfidati, ero convinto di essere invincibile. Avevo già un’autentica vita intellettuale, non questa merda di vita da vagabondo, o da personaggio clandestino…».

Foto copertina: ANSA/ DANIEL DAL ZENNARO

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