L’Islanda sarà il primo paese europeo con zero nascite di bimbi con sindrome di Down

22/08/2017 di Redazione

In Islanda non nasceranno più bambini con la sindrome di Down: negli ultimi anni la media è di uno o due parti ogni 365 giorni, ma la tendenza indica che in futuro molto prossimo il numero si ridurrà a zero. La percentuale di aborti dopo il test prenatale sulla presenza di anamalie cromosomiche del feto è infatti vicina al 100 per cento e quegli sporadici casi rimasti di bimbi nati con la sindrome di Down sono dovuti alla fallibilità del test, non alla scelta dei genitori.

ISLANDA PRIMO PAESE EUROPEO SENZA NEONATI CON SINDROME DI DOWN

Se l’Islanda – come sembra – sarà il primo Paese europeo senza nascite di bimbi con sindrome di Down questo dipende dal fatto che i nuovi screening sono più semplici e meno invasivi, quindi la percentuale delle persone che si sottopone è in continuo aumento. I numeri forniti dal Landspitali University Hospital di Reykjavik – dove nascono il 70% degli islandesi – parlano dell’85% di donne che scelgono di sottoporsi in gravidanza alle nuove diagnosi prenatali introdotte a inizio secolo.

Test non sempre infallibili, tanto che le sporadiche nascite di bimbi con sindrome di Down non sono quasi mai dovute alla scelta dei genitori, ma ad errori nello screening, come ha spiegato Hulda Hjartardottir, capo dell’unità di diagnosi prenatale dell’ospedale di Reykjavik alla Cbs, che ha trasmesso un documentario dedicato alla eliminazione dei neonati con sindrome di Down dall’Islanda.

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LA LEGGE SULL’ABORTO IN ISLANDA

C’è poi anche un aspetto normativo: in Islanda è possibile abortire anche dopo le sedici settimane, in caso di anomalie del feto, inclusa la sindrome di Down. Il pensiero – sull’isola – è che l’aborto sia qualcosa che previene sofferenza per il bambino e per la famiglia. «Questa è la tua vita e tu hai il diritto di scegliere come sarà la tua vita», spiega nel documentario della Cbs Helga Sol Olafsdottir, che offre supporto psicologico e consigli alle donne che ricevono risposta positiva al test prenatale.

Il Corriere della Sera oggi ha affrontato il tema, chiedendo un’opinione ai rappresentanti delle associazioni italiane di persone con sindrome di Down:

Proprio sull’informazione punta il dito Antonella Falugiani, presidente italiano di Coordown, che raggruppa diverse associazioni: «È importante sia corretta. La coppia deve poter avere tutti i dati per compiere una scelta consapevole». Sua figlia Irene, 18 anni, quarta liceo scientifico e danza moderna come hobby, ha sindrome di Down e qualche mese fa era a New York per parlare alle Nazioni Unite: «Disse che le reali difficoltà sono all’interno della società». Spiega Matilde Leonardi, neurologa al Besta di Milano: «In Italia un neonato ogni 1.200 ha questa sindrome. Nel 1929 la loro aspettativa di vita era di dieci anni, ora è sui 60 anni».

Le notizie dall’Islanda non stupiscono. Era solo questione di tempo e prima o poi sarebbe accaduto dicono dalle associazioni che si occupano dei diritti delle persone con sindrome di Down. Loro non si chiedevano più «se», ma «quando» e «dove». In Europa sembrava essere una corsa a due fra Danimarca e Islanda. Nel Paese scandinavo, le stime indicano una percentuale di aborti legati alla possibilità di questa anomalia cromosomica del 98 per cento. Nel 2015 sono nati 31 fra bambini e bambine con la sindrome.

Martina Fuga, blogger e scrittrice, è un’attivista che si batte per i diritti di chi ha sindrome di Down e non solo: «Da mamma queste notizie sono un colpo al cuore. Non può essere la scelta sociale di un Paese. È giusto poter decidere, ma conoscendo. Come sarebbe bello se si lavorasse su una cultura dell’inclusione e sulla ricerca per avere un mondo migliore».

Foto copertina: da Pixabay

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