«Per Elisa non voglio show, solo una dolce morte»

26/07/2017 di Redazione

Lui si chiama Giuseppe P. e chiede solo una cosa per la sua Elisa, oramai una donna, 46 anni di cui 12 in stato vegetativo. Chiede di staccare la spina, di riuscire a farle fare una dolce morte. Lontano dai riflettori, in un paese che rinvia ancora la discussione sul fine vita. «No, non me la sento di andare in tv. Vorrei che il caso di mia figlia Elisa fosse discusso dai professionisti, medici, avvocati, giudici, parlamentari e non da me che non ho alcuna competenza. Chiede solo, a chi può fare le leggi, di mettersi nei panni di un padre che vede morire lentamente sua figlia, in una agonia infinita. Io ho sollevato il problema, ma non mi si può chiedere di trasformare il caso di mia figlia in un fenomeno da baraccone», ha spiegato l’uomo di Mestre al Gazzettino.

Il papà di Elisa si è scusato con i giornalisti, ma ci tiene a ribadire che non vuole sollevare un polverone, vorrebbe una discussione seria perché gli pare semplicemente inverosimile che nessuno si occupi di risolvere i problemi di tante persone come sua figlia che vivono una agonia perenne, alleviata solo dai farmaci, dalle cure di medici e infermieri e dall’assistenza continua dei familiari. Lui chiede che si stacchi la spina di Elisa, che le si dia una morte dignitosa «dal momento che quella che fa non è una vita dignitosa». Nutrita con un sondino, non vede, non sente, non parla. Non riconosce nessuno, semplicemente non sa di essere al mondo. È una vita vegetale, hanno sentenziato i medici, con cruda ferocia linguistica.
«Ma come mia figlia – ragiona Giuseppe P. – ce ne sono altre decine, tutte nelle stesse condizioni: non possono migliorare, non possono guarire, possono solo morire e allora perché le si tiene in queste condizioni?».
Giuseppe P. si chiede per quale motivo i nostri parlamentari non approvino una legge umanitaria. E d’accordo che la salute non ha prezzo ragiona il papà di Elisa – ma perché «si buttano al vento 4 mila e 500 euro al mese, cioè 50 mila ogni anno per ogni persona assistita, mettendo in difficoltà le casse delle Ulss e delle stesse famiglie? Che senso ha, visto che non c’è alcuna speranza e queste cure nulla hanno a che fare con la salute delle persone?».

Elisa P. è così da quando,  nel lontano 22 febbraio 2006, l’auto su cui viaggiava con il ragazzo finì contro il guard rail. Il suo fidanzato se la cavò con qualche frattura, lei, salvata in estremis, ha perso una parte di cervello. Il suo amore, per il rimorso di quell’incidente, si tolse la vita.

Conclude il Gazzettino:

Il padre oggi è l’unico sopravvissuto di tutta la famiglia di Elisa. Ieri si è messa in contatto con lui Filomena Gallo, segretario nazionale dell’associazione Luca Coscioni che si batte da anni per il testamento biologico e per l’eutanasia. L’Associazione è intenzionata ad offrire assistenza legale, ma chiede anche l’apertura di una indagine parlamentare per sapere esattamente quante persone in Italia si trovano in queste condizioni di stato vegetativo irreversibile: «Se fosse approvata la legge che è in discussione in questo periodo in questo momento, casi come quelli di Elisa sarebbero immediatamente risolti».

(immagine copertina di repertorio. BENVENUTI/ANSA DEF)

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