Una scuola senza compiti è possibile?

 

Hanno fatto davvero rumore le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo riguardo quello che per tutti gli studenti italiani è più di un problema, è uno spauracchio. Quello dei compiti a casa, del lavoro individuale pomeridiano che costringe tutti i ragazzi ad inchiodarsi alla scrivania a volte per molte ore: e qualcuno inizia a non starci più. Non in Italia, almeno, ma con effetti che si fanno sentire nel nostro paese.

LO SCIOPERO DEI COMPITI – Comincia infatti oggi in Francia un vero e proprio sciopero dei compiti: da quasi un mese la FCPE, la federazione dei genitori degli alunni, ha iniziato a costruire un importante appuntamento, quello dello sciopero dei compiti: al grido di “E se provassimo a vivere senza compiti a casa?” i genitori, per primi, chiedono alla scuola di immaginare un futuro diverso, senza assegnazioni quotidiane di lavori domestici, una scuola che permetta agli alunni di recuperare i loro spazi e i loro tempi. E anche in Italia l’eco di questa iniziativa arriva forte, grazie alle parole del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo, che ieri si è soffermato a riflettere sul ruolo dei compiti a casa nel nostro sistema scolastico, interrogandosi sulle prospettive di cambiamento.

Leggi anche:
La pagella del figlio del caro leader
La maestra troppo sexy per insegnare finisce spiata
I bulli che spengono la sigaretta sul compagno di scuola

Oggi i ragazzi ricevono molti stimoli anche dall’ambiente extrascolastico, e quindi deve cambiare la struttura dei compiti e delle lezioni », ha chiarito Francesco Profumo durante una visita a due istituti di Ancona. «Se oggi si dà una versione di greco o latino, mi racconta mia moglie che è insegnante, quasi sempre la traduzione si trova su internet. C’è anche un sito specializzato, basta inserire tre parole… Insomma, dobbiamo essere più “smart” dei ragazzi». Più furbi. È necessario, dice Profumo, che gli studenti inseguano noi, e non che noi, gli adulti, inseguiamo loro.

Così ha detto il ministro, e da più parti la stampa oggi è affollata di editoriali, commenti ed opinioni sull’ipotesi di abolizione, o comunque di rimodulazione, del lavoro degli alunni a casa: in massima parte, la difesa del lavoro casalingo è a spada tratta, come nell’editoriale del Messaggero di oggi di Giorgio Israel che sostiene come il compito a casa sia espressione di “doveri e valori”. La domanda dunque sta in piedi: l’esempio francese è da seguire? Una scuola senza compiti è possibile?

E’ POSSIBILE? – L’abbiamo chiesto a Pietro Lucisano, pedagogista di fama che insegna Pedagogia sperimentale presso l’Università la Sapienza di Roma, essendo al contempo presidente del Corso di Laurea in Pedagogia afferente alla facoltà di Scienze della Formazione, con un ricco curriculum di pubblicazioni riguardanti il sistema dell’istruzione e la sua possibile riforma. “Quelle di Profumo”, ci dice al telefono, “mi paiono dichiarazioni ragionevoli”.

Come mai?
Innanzitutto: apprezzo molto che il ministro si esprima su questi temi in maniera prudente, rispetto alle precedenti asserzioni a cui ormai siamo abituati, sempre apodittiche nel loro stile. Abbiamo davvero l’esigenza di cercare soluzioni diverse rispetto a quelle cercate nel passato. Andando sul punto, c’è da dire subito che in alcuni tipi di scuole italiane, ad oggi,  i compiti non ci sono (mi riferisco al metodo Montessori) senza che questo faccia sì che i ragazzi delle scuole in questione abbiano carenze formative apprezzabili.

Per cui, non sarebbe un’innovazione, ma un potenziamento di una possibilità esistente.
Il ministro Profumo affronta un problema cruciale, quello del tempo scuola. I ragazzi lavorano a scuola mediamente 5/6 ore al giorno, e quando c’è il tempo pieno le ore sono anche di più. Il problema è come si utilizza questo tempo, se viene utilizzato solo per fare lezioni o se possa venir utilizzato anche come tempo di studio e approfondimento. E’ una riorganizzazione del tempo scuola quella che viene in qualche modo auspicata, non una pura e semplice soppressione dei compiti a casa.

Quindi una scuola senza compiti è effettivamente possibile?

Spesso si ha l’impressione che i compiti siano pensati dai docenti per demandare ad altra sede l’apprendimento o il consolidamento di ciò che si dovrebbe invece studiare a scuola. I compiti sono uno degli elementi per cui il nostro sistema continua a produrre discriminazioni fra le famiglie che possono seguire i ragazzi nel fare i compiti e famiglie che non possono (magari a causa dei titoli di studio presenti in casa). Il ministro tra l’altro, come dicevo, non suggerisce l’eliminazione totale dei compiti, ma forme diverse di apprendimento gestite magari attraverso il lavoro di gruppo, o altre attività più stimolanti.

Che migliorerebbero la vita degli studenti…
E c’è altro. La quantità di compiti che viene assegnata spesso è talmente elevata che il ragazzo passa tutta la giornata a tavolino, il che non aiuta a crescere, perché nega al ragazzo tutte esperienze della vita normale, dall’andare a spasso, allì andare al cinema, o ai musei. Potrebbe essere un compito molto interessante da assegnare l’andare a vedere un film, andare ad un teatro, piuttosto che ad un concerto. Perché la traduzione di dieci frasi, o una lunga serie di operazioni … tutte queste cose si possono fare benissimo durante il tempo scuola, che deve essere totalmente ripensato in maniera più utile: non si formano così le persone intelligenti, semplicemente con un maggiore tempo di studio. Cinque o sei ore al giorno di concentrazione sono un tempo notevole, se si imparasse ad usarle bene.

Se io fossi un’insegnante potrei probabilmente dirle che questo sistema tradizionale mi è necessario per offrire la miglior qualità possibile che il mio lavoro permette.
Mah. Non sono affatto convinto che il sistema tradizionale garantisca questa qualità di cui si parla, e d’altronde i risultati del sistema tradizionale non mostrano tracce di questa qualità. E’ evidente invece che il sistema tradizionale non funziona, e insistere su questo sistema tradizionale è un meccanismo puramente perdente. Bisogna pensare strade nuove e più intelligenti e più adeguate. In questo c’è il supporto di esperienze consolidate che sanno formare i ragazzi a fare certe cose anche senza sottoporli a medievali supplizi pomeridiani.

Per cui, da cosa si deve partire per cambiare il sistema scolastico?
In questo cambiamento non possiamo estremizzare, dobbiamo invece gestire un cambiamento di mentalità sull’utilizzo del tempo scuola. Non è qualcosa che si possa fare certo per decreto. Serve un intervento che chieda di riflettere su questo problema vissuto da famiglie e ragazzi; e non dimentichiamoci, vissuto anche dagli adulti: non si capisce perché anche loro non ricordino che, da alunni, capitava che copiassero la mattina i loro compiti, che passassero pomeriggi e notti a studiare, o al telefono con gli amici a dettarsi i compiti: ecco che si costruisce una grande ipocrisia di cui siamo tutti consapevoli. Bisogna provare ad andare oltre gradualmente, immaginando dei modi per consolidare le abilità dei ragazzi all’interno del tempo scuola. Eliminando una quota di questi compiti si avrebbe un risultato positivo, introducendo magari dei lavori di gruppo e non sistemi meramente ripetitivi della lezione: si avrebbero risultati anche in termini di affezione alla materia, di piacere dello studio.

Studiare deve diventare un piacere, intende lei.
Per qualche strano motivo si è impiantato nel nostro modo di vivere la scuola un’equivalenza, per cui lo studio è diventato sofferenza. Ne parlavo oggi con una mia collega: non dimentichiamoci che, invece, scuola viene dal latino otium, ozio, dall’idea di un’attività libera e liberale.

A questo punto le faccio una domanda forse scorretta: non sarà un problema di qualità del corpo docente? Non sono gli insegnanti ad essere troppo affezionati al loro modo “tradizionale” di lavorare?
Nel nostro paese gli insegnanti non vengono formati per insegnare. Su questo c’è stata soltanto una breve sperimentazione a risorse zero (le Ssis, scuole superiori per l’insegnamento secondario): è facile dunque dire che il corpo docente non è formato alla tecnica dell’insegnamento, il che però non dipende da loro, dagli insegnanti, è che nessuno gli ha mai spiegato come fare diversamente. E’ anche importante il contesto in cui si lavora: basta confrontare la situazione del nostro sistema con quella di diversi altri paesi per capire che nelle nostre scuole mancano attrezzature, mancano laboratori e strumenti di supporto. Nelle condizioni attuali gli insegnanti fanno il massimo dello sforzo possibile per realizzare i loro obiettivi. Probabilmente otterremmo risultati migliori cambiando il contesto in cui essi si trovano ad operare.

Quindi il giudizio sulla strada che sembra profilarsi è positivo.
Abbiamo bisogno di fare a mente sgombra delle riflessioni sul funzionamento del nostro sistema che non individuino colpevoli ma che serenamente cerchino delle strade per migliorare, perché i risultati ora come ora sono veramente insufficienti. Quello del ministro è uno stimolo intelligente, spero che sia l’inizio di un rapporto fra ministero e scuole che non si traduca semplicemente in nuove circolari che impongono comportamenti ai docenti ma in iniziative che avranno successo solo se,accanto a questi stimoli, si miglioreranno le condizioni di lavoro complessive sia delle strutture che di organizzazioni che di materiali e attrezzature.

Grazie.
Di niente.

Leggi anche:
L’asilo con la sexy maestrina
“In questa scuola non puoi avere Facebook”
Il prof disabile schiavo dei bulli

Share this article