Caso Serravalle, Luigi Di Maio diventa sindacalista: no ai negozi aperti di domenica

«Non è solo una questione economica. Ma di serenità familiare e di felicità personale». Il Movimento 5 stelle, tramite il vicepresidente alla Camera Luigi Di Maio, prende posizione sul tema delle aperture commerciali la domenica e nei giorni festivi. «In questi giorni si discute degli orari di lavoro dei dipendenti dei centri commerciali, ed è giusto ricordare che anche i commercianti delle città italiane insieme ai loro dipendenti ormai sono costretti ad inseguire questo ritmo forsennato di lavoro, dettato dai megastore. Con l’eliminazione degli orari di chiusura degli esercizi commerciali ad opera di Monti e del Pd – ha spiegato il parlamentare pentastellato – si sono messe in competizione piccole botteghe e grandi centri commerciali, ognuno può restare aperto quanto vuole, scatenando una concorrenza al ribasso che ha ottenuto come unico risultato lo sfaldamento del nucleo familiare del negoziante e dei dipendenti, lontani dalla famiglia 7 giorni su 7».

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CASO SERRAVALLE: LO SCIOPERO E IL “FLOP” DELLA PROTESTA. DIPENDENTI RIMPIAZZATI

Come mai il Movimento 5 stelle interviene sul tema? Con le vacanze pasquali si è aperto un dibattito nel paese. Protagonista l’outlet di Serravalle, dove è andata in scena la protesta dei lavoratori, contro le aperture festive. La mobilitazione dei suoi dipendenti è stata però di fatto un flop, con 4 negozi chiusi su 250. Questo perché alcuni proprietari si sono permessi di assumere altro personale rispetto a quello scioperante. I lavoratori avevano deciso di incrociare le braccia dopo la comunicazione della McArthurGlen (multinazionale a capo del Designer Outlet di Serravalle), di aumentare le aperture festive di due giorni: Pasqua e Santo Stefano. In pratica 363 giorni lavorativi su 365. La rivolta non era diretta solo sulle liberalizzazioni ma anche su tutti quei colleghi che lavorano «fissi» ma con voucher, o con part-time in gran parte dei punti vendita. Per non parlare dei giorni di malattia che, secondo l’accusa dei sindacati, diventano magicamente giornate feriali.  Cgil, Cisl e Uil hanno promesso di portare il caso in Parlamento anche perché la legge per regolamentare i riposi festivi c’è ma è bloccata.

LIBERALIZZAZIONI NEGOZI: IL CAOS DELLA LEGGE SU CUI PENDE LA DECISIONE DELLA CORTE

E veniamo al punto nevralgico della questione. Sulle aperture festive in Italia deve decidere la Corte Costituzionale. Dal 2011, da quando l’articolo 31 del decreto legge 201, convertito in legge 214, ha stabilito la liberalizzazione degli orari, è il caos. Alcune Regioni vogliono stabilire alcuni obblighi di chiusura ma la Corte costituzionale è intervenuta con la sentenza 299 del 2012 dando competenza al solo Stato. La questione si fa più delicata nel caso del commercio al dettaglio in sede fissa. Si discute se chiudere o meno il 1° gennaio, Pasqua, lunedì dell’Angelo, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, 15 agosto, 1° novembre, 25 e 26 dicembre. Su queste chiusure spetta la decisione della Corte costituzionale, la cui udienza è fissata in queste settimane. In attesa della Corte regioni come il Friuli-Venezia Giulia ha imposto i giorni di chiusura.

In Parlamento è depositato un disegno di legge in materia (1629 Senato, a cura del 5 stelle Dall’Orco) che disciplina la materia.  Approvato alla Camera sta bloccato a Palazzo Madama. Sull’argomento è intervenuta anche l’Autorità garante della concorrenza rivelandosi favorevole all’apertura, eccezion fatta per specifici accordi territoriali. In che senso? Se le aperture festive valorizzano il territorio e zone con marcata vocazione commerciale allora è giusto e lungimirante rimanere aperti anche a Pasquetta. Una località turistica ha diritto a tener aperti i negozi di souvenir proprio durante le aperture festive, quando c’è maggior flusso di clientela ad esempio.

(in copertina foto ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

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