Dall’Istat è allarme povertà: in Italia 4,5 milioni di persone non hanno di che vivere

Otto milioni sotto la soglia della povertà, 4 milioni e mezzo in condizione di indigenza assoluta. La fotografia dell‘Istat, nel suo rapporto annuale, è davvero spietata. È esattamente quello che, nei giorni scorsi con l’approvazione del Def, si è cercato di far capire: il Pil può anche aumentare, ma è la qualità di questo aumento che è piuttosto discutibile. E così, nell’anno di riferimento 2015, l’11,5% delle persone è “in condizioni di grave deprivazione”, 3,4 punti in più rispetto alla media europea. E i poveri assoluti, quelli che non hanno di che vivere, sono il 6,1%. Accettabile per un Paese del G7 come l’Italia?

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ISTAT, PIL TROPPO BASSO RISPETTO ALLA GERMANIA

Il problema sta anche nella disuguaglianza del reddito, non equamente suddiviso tra nord e sud. Tuttavia, da questo punto di vista si può registrare un dato positivo: il 50,5% delle famiglie si ritiene soddisfatto del proprio bilancio, percentuale in crescita per il terzo anno di fila. Ma la differenza tra il Pil italiano e quello del battistrada in Europa, la Germania, è ancora troppo grande: i tedeschi, in generale, producono il 24% in più rispetto al Bel Paese.

ISTAT, DISUGUAGLIANZE SUL MERCATO DEL LAVORO E SULLE SPESE PER LA CULTURA

Tra le cause, con ogni probabilità, l’incertezza sul mercato del lavoro. Gli occupati in Italia (in lieve crescita) sono il 61,6%, il penultimo dato nella classifica UE. Peggio di noi, solo la Grecia. Impossibile cercare di avvicinare le percentuali della Svezia (si parla dell’80%). Ancora troppi, nonostante la flessione, i disoccupati nella fascia d’età compresa tra i 15-24 anni, che al sud arrivano a toccare il 51,7% (rispetto al 37,8% della media nazionale) e ancora tante le donne che faticano a trovare un’occupazione rispetto ai loro colleghi uomini.

Va da sé che, in questa situazione, le spese per cultura e tempo libero restino estremamente basse. Queste costituiscono solo il 6,7% delle uscite delle famiglie italiane (la media europea è dell’8,5%), altro dato che ci relega tra i Paesi UE in fondo alla classifica. Se non si sa come fare per sfamarsi, del resto, è evidente che tutte le attività accessorie passino in secondo piano. Ma – e questo è un dato incontrovertibile – la crescita di un Paese passa anche attraverso il suo spessore culturale. E l’Italia, anche da questo punto di vista, non sta messa particolarmente bene.

(FOTO: ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

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