Dal vitalizio alla pensione: cosa c’è da sapere sui soldi ai parlamentari a fine mandato

31/12/2016 di Redazione

Quelle dei parlamentari non sono più le baby pensioni di una volta, anche se restano molto generose. La annosa questione della riforma dei vitalizi è stata affrontata dal governo Monti nel 2011, e da quasi cinque anni sono stati modificati con un meccanismo simile a quello in vigore per tutti i lavoratori dipendenti.

Il sistema previdenziale contributivo in vigore dal 2012

Il regime previdenziale dei parlamentari dal primo gennaio 2012 utilizza infatti il sistema contributivo, con un minimo di versamenti pari alla legislatura intera di 5 anni, contributi al 33% pagati in parte dal datore di lavoro (Camera e Senato) e in parte dal parlamentare, con un assegno non più percepibile prima dei 65 anni, ma con un anno di anticipo per ogni anno di versamento superiore ai 5 minimi (in realtà bastano sei mesi e un giorno, e vale come un anno) e in ogni caso percependo l’assegno non prima dei 60 anni d’età. Non solo. I regolamenti prevedono ora la sospensione del pagamento della pensione qualora il deputato sia rieletto al Parlamento nazionale, sia eletto al Parlamento europeo o ad un Consiglio regionale, ovvero sia nominato componente del Governo nazionale, assessore regionale o titolare di incarico istituzionale per il quale la Costituzione o altra legge costituzionale prevede l’incompatibilità con il mandato parlamentare. La sospensione è inoltre prevista in caso di nomina ad incarico per il quale la legge ordinaria prevede l’incompatibilità con il mandato parlamentare, ove l’importo della relativa indennità sia superiore al 50% dell’indennità parlamentare.

 

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La scadenza del 15 settembre 2017 per la pensione

Dal 2012 è poi venuta meno la possibilità di integrare con una contribuzione volontaria il minimo obbligatorio di cinque anni di versamenti per ottenere a 65 anni una pensione. Inoltre, in caso di scioglimento anticipato delle Camere, i contributi versati non sono ripetibili, quindi vengono perduti. La normativa attuale comporta quindi che gli oltre 600 attuali deputati o senatori di prima nomina (su 945), cioè alla loro prima legislatura, in caso di scioglimento anticipato delle Camere non solo non godranno di alcuna pensione, ma perderanno anche tutti i contributi versati per quasi quattro anni, dal marzo 2013. Oggi si contesta la possibilità che la cancellazione dei contributi pagati non si realizzi qualora la legislazione durasse fino al prossimo settembre, ma è evidente che in un sistema in cui l’ammontare della pensione è strettamente commisurata ai contributi versati nel corso della vita lavorativa, la norma in questione potrebbe apparire “illegittima”, rappresentando un possibile esproprio di quote di salario (non puoi cumularle a pensioni di altro genere, né riscattarle) e raggiungere la fatidica scadenza – il 15 settembre 2017 – diventa un traguardo. Se ce la fai, a 65 anni, con solo una legislatura, potrai avere una pensione di 900-970 euro. Se no, zero. Ed è bastata una proposta sui vitalizi dei parlamentari del Pd per far svaporare ogni ipotesi alternativa. Sulla graticola non un decreto, ma un provvedimento interno alle camere che non è stato ancora ufficialmente presentato.

La proposta, annunciata in questi giorni dal quotidiano Repubblica da parte del Pd, prevede, a partire dalla prossima legislatura, l’abolizione delle pensioni dei parlamentari che da quel momento potranno però versare i contributi nelle proprie casse professionali o all’Inps. Una norma invece entrerebbe in vigore subito e riguarda la restituzione ai parlamentari dei contributi versati in questa legislatura nel caso venisse sciolta anticipatamente, per un importo corrispondente a cinquantamila euro ciascuno. Le parti sembravano già schierate: il Movimento 5 Stelle gridava alla prima “legge porcata” del governo Gentiloni, mentre il Pd accusava i 5S di voler distrarre l’attenzione dalle difficoltà in cui si dibatte l’amministrazione Raggi. Così sembrava, almeno fino a oggi perché sembra tutto sfumato, con il capogruppo alla camera del Pd Ettore Rosato che liquida l’indiscrezione giornalistica come carta straccia. Le congetture sulle pensioni, ha dichiarato, “sono fantasie, e nessuna fantasia è stata mai immaginata”.

I vitalizi d’oro per 2.600 ex parlamentari

Se per i parlamentari eletti dopo il primo gennaio 2012 le regole sono quelle in corso, per i “vecchi eletti” restano i cosiddetti “vitalizi d’oro”. Sono in 2.600 e ricevono il doppio di quanto hanno versato, per un costo stimato in circa 190 milioni di euro. Secondo il presidente dell’Inps, Tito Boeri, con questi numeri il sistema degli assegni degli ex deputati e senatori “è insostenibile”, e i correttivi apportati dal primo gennaio 2012 “pur avendo arrestato una crescita della spesa, non sono in grado di evitare disavanzi nei prossimi anni”, ragion per cui la proposta del presidente Inps è quella di “applicare le regole del sistema contributivo oggi in vigore per tutti gli altri lavoratori all’intera carriera contributiva dei parlamentari”, scelta che ridurrebbe del 40% la spesa per i vitalizi, “scendendo a 118 milioni, con un risparmio, dunque, di circa 76 milioni di euro l’anno”, 760 milioni nei prossimi dieci anni. Il vitalizio intanto passa di generazione in generazione, a mogli, mariti, figli e fratelli che per decenni vivono con l’assegno dello scomparso. Una rendita che nasce da una contribuzione minima, da una sola legislatura o addirittura da un solo giorno in Parlamento.

Un caso emblematico è quello del deputato Luca Boneschi dei Radicali, che per aver trascorso ventiquattr’ore alla Camera nel febbraio del 1982 ha avuto la pensione a vita. Tra gli assegni d’oro anche quello di Luciano Violante che percepisce un vitalizio di 9.363 euro al mese, mentre Giuliano Amato arriva a 31.411 euro. Walter Veltroni ogni mese incassa 5.691, Massimo D’Alema appena 90 euro in meno del suo storico rivale. L’ex presidente della Camera Gianfranco Fini prende 5.614 euro, Prodi 2.864, Rodotà 4.684. Domenico Gramazio, passato alla storia parlamentare per aver festeggiato la caduta di Prodi nel 2008, mangiando in Senato una fetta di mortadella, percepisce 10.877 euro. Ma c’è poco da indignarsi: è scritto nel Regolamento. Negli elenchi dei vitalizi, aggiornati ad ottobre 2016, non mancano neppure nomi noti del cinema, dello spettacolo e della cultura. Come il cantante Gino Paoli (2.140 euro), la ex pornostar Ilona Staller (2.231) e l’attrice Ombretta Colli (3.460). C’è persino chi ha deciso di appendere la penna al chiodo per intraprendere la strada della politica. Come i giornalisti Eugenio Scalfari (2.269), Fabrizio Del Noce (2.962), Demetrio Volcic (2.934). L’ex presidente del Coni, Mario Pescante (3.891) e il fuoriclasse della Nazionale italiana Gianni Rivera (5.205) aggiungono al calderone dei vitalizi anche una nota di sport.

Niente assegno per 18 condannati

In compenso, Camera e Senato hanno abolito i vitalizi ai parlamentari con condanne superiori ai due anni per reati di mafia, terrorismo e contro la Pubblica amministrazione. Tolto il vitalizio quindi a 18 tra ex deputati e senatori: anche Berlusconi e Dell’Utri, e poi Massimo Abbatangelo, Giancarlo Cito, Robinio Costi, Raffaele Mastrantuono e Gianmario Pellizzari. Anche l’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo (Pli) come l’ex segretario Psdi Pietro Longo e passando per volti celebri della Dc e del Psi come Massimo De Carolis, Giulio Di Donato e Gianstefano Milani sono tra i 10 ex deputati per i quali la Camera non erogherà più il vitalizio. Cifre che, a seconda dei casi, ondeggiavano tra i poco più di 2 mila euro mensili e gli oltre 5 mila di una lista che racconta un pezzo di storia della Prima Repubblica, quella spazzata via, soprattutto, dalle sentenze di Tangentopoli. E che non rimpiangiamo.

(Foto di copertina: ANSA / GIUSEPPE LAMI)

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