«Aiuto, mamma si veste da ninja»

Sua mamma l’ha portato via dal suo paesino in provincia di Lecco. Lei, albanese, ha deciso di portarlo in Siria e arruolarsi nelle fila dell’Isis. La storia del piccolo Alvin la racconta Giuseppe Guastella sul Corriere della Sera. E riporta anche le richieste d’aiuto del bambino al padre, rimasto in Italia:

La madre, albanese, l’ha portato via da un paesino del Lecchese per portarlo in Siria. E l’ha indottrinato al Jihad. Alvin è un bambino spaventato che vive in mezzo alla guerra e sotto le bombe. Il padre cerca di riportarlo in Italia. Riesce anche a parlare con lui. Alvin lo prega: «Papà riportami a casa. Voglio tornare a scuola. La mamma si veste come un ninja. Qui ci sono gli aerei e le bombe, io ho paura. Ma la mamma mi ripete che tanto moriremo». Adesso la donna è ricercata per terrorismo da un’ordinanza di custodia cautelare di un gip milanese. Alvin è terrorizzato. Le bombe che cadono sempre più vicine fanno tremare le pareti dell’edifico a una quarantina di chilometri a nord-est di Aleppo. Vorrebbe tornare tra i banchi della sua scuola elementare di Cremella nella tranquilla campagna della Brianza lecchese, invece di essere costretto a sei anni ad imparare a combattere in Siria imbracciando un kalashnikov più grande di lui nel campo di addestramento per piccoli jihadisti del Califfato, dove l’ha portato la mamma che ora si veste come un «ninja», lo chiama Jusuf, lo ha fatto circoncidere e lo trascina a pregare in moschea cinque volte al giorno. Manca una settimana alla vigilia del Natale 2014 e, anche se la famiglia arrivata dall’Albania nel 2000 è di fede mussulmana, come per tutti gli altri bambini della prima anche per Alvin sono giorni elettrizzanti. Ma la festa finisce ancor prima di cominciare. Dopo un anno passato ad indottrinarsi tra siti i internet del Califfato, la madre, Valbona Berisha, a 32 anni ha deciso di partire per la Siria portandoselo dietro e lasciando a casa a Barzago (Lecco) le altre due figlie, Mikela e Klenisa, di 11 e 10 anni, come Alvin nate in Italia, e il marito Afrimm, di 13 anni più grande. Sarà l’uomo, il giorno dopo, a denunciare la scomparsa quando ormai hanno raggiunto la Turchia con un volo da Bergamo. I carabinieri del Ros accerteranno che a pagare i biglietti era stato Mendush Selimoviq, un foreign fighter serbo poi morto in Siria. Afrimm Berisha non si dà pace, quando riesce a contattarla, la moglie gli dice di trovarsi in Siria in un posto che il giorno prima era stato bombardato.

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Afrimm ha provato a partire in Siria, supera il confine ma viene respinto prima che possa trovare sua moglie. La donna nel mentre ha disattivato la funzione che permette di geolocalizzare il suo cellulare. Riesce a parlare col figlio solo tramite un parente, al telefono.

«Mi ha detto “ho paura perché ci sono gli aerei che lanciano le bombe… ma lei (la madre, ndr.) non ne vuole sapere, dice che tanto moriremo lo stesso!». Aggiunge di aver chiesto ad Alvin: «Vuoi venire da papà?”, lui mi ha detto “sì, ma la mamma non mi lascia” (…) “si è vestita e sembra un ninja”», gli antichi sicari giapponesi rappresentati dalle famose tartarughe dei cartoni animati, e quando dice alla mamma «andiamo da papà perché devo andare a scuola, lei non mi lascia». Così piccolo «non ce la fa più», dice Afrimm, che supplica almeno di far tornare il bambino: «Le ho detto “fai quello che vuoi ma non rovinare mio figlio”».

(foto di repertorio ZAC BAILLIE/AFP/Getty Images)

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