Alla fiera di Jimmy Choo, nell’Eden delle scarpe: cronaca di una svendita annunciata

JIMMY CHOO LUGANO –

Qui, è davvero tutto un gomito a gomito, numero di scarpa per numero di scarpa. Ma la più estrema di tutti è lei. Bionda, decisa. Passa sotto i tavoli fatti a mo’ di bancone, sbuca a carponi dall’altra parte e in un solo colpo si prende una confezione di 37. L’altra signora, in piedi, si vede sfilar via il sacchetto, tira un’occhiataccia, ma poi l’attenzione è già verso un’altra preda. Bisogna fare in fretta. Sempre sul tavolo dei 37. Da dietro una giovane donna, pelle chiara e zigomi dell’est, si butta col corpo a coprire un altro paio di scarpe. Non fosse una signora, sarebbe una mossa da rugby. E pazienza se il tacco 12 agguantato è di un color melanzana brillantinata che, per indossarlo, ci vuole ancor più coraggio del gesto fatto per conquistarlo. La guerra è guerra. Soprattutto quando gli oggetti di lusso possono arrivare a essere alla portata di tutti.

Già, basta una svendita. Montagne di modelli sparpagliati lungo i tavoli che rincorrono il centro e il perimetro di una sala da grande albergo. Siamo a Lugano, Svizzera. In un angolo della città che si chiama Paradiso. E naturalmente l’hotel dove tutto questo succede non può che chiamarsi Eden. È lì che viene ospitato l’evento: la liquidazione in grande stile di scarpe d’alta moda. Jimmy Choo, il brand. Quel nome che – se non sei fashion addicted o un patito di Sex and the City – potresti scambiare per un regista di Hong-Kong trapiantato a Hollywood oppure per un mostriciattolo dei Pokemon Go.

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Per chi sa, invece, è il non plus-ultra delle calzature. Quelle delle modelle e delle star. Quelle dove il tacco rimane un discreto punteruolo alto mai meno di 12 centimetri, la suola uno scivolo fetish, magari allacciato – in zona caviglia – da un cinturino sobriamente tempestato di Swarovski. Robe che di solito ti porti via, alleggerendo il tuo portafoglio di 600 euro a botta. Qui, per la svendita, ti basta molto meno. Cento euro. Ed è come se il glamour planasse ad altezza casalinga. Sogni low-cost che però buttati lì come ami, fino a esaurimento scorte, mettono in moto la ferocia di chi vuole arrivare al banchetto prima degli altri per avere la prima scelta.
Intendiamoci, è la stessa ferocia che trovi in tante altre situazioni quotidiane, ma qui la serratura da cui guardare sembra ancor più spietata: il superfluo che diventa necessario, anzi, sopravvivenza.
Così, prima dell’apertura, alle nove del mattino, fuori dall’albergo, c’è già la coda che si allunga seguendo la curva del lungolago. Un esercito di donne, età variabile, dalla teenagers chewing-gum in bocca alla sciura che fuma una sigaretta elettronica.
Tutte intruppate lì, tra pellicce, trucchi, orecchini, borsette, botulini, nella vicinanza asfissiante di chi non vuole perdere il posto. “Così è da animali stare in coda, me ne vado” minaccia una cinquantenne di Milano con due orecchini grandi come cavolfiori, ma poi rimane lì, non si sposta di un millimetro. E dieci minuti dopo potrebbe tranquillamente ridire la stessa frase, magari con tono ancor più esasperato, ma sempre con lo stesso implicito “resistere, resistere, resistere” che vuol dire “restare”.
Così com’è buffo seguire la traiettoria di un’altra donna sui quaranta, vestita in abiti pastello. Dice all’amica che qui “buttano fuori tutto l’invenduto”, cioè le cose avanzate e scartate dagli altri, ma poi, appena entra dopo aver lasciato cappotto e borsa al guardaroba, la riguardi in faccia e capisci che anche le signore Brambilla hanno un giaguaro che vive dentro di loro.
Lo stile, un optional: si lancia tra i tavoli, dribbla chi si trova davanti come nemmeno Messi ed è già davanti, in prima fila, al posto dove c’è il suo numero. Inutile dire che qui conviene avere piedini o piedoni, misure molto piccole o molto grandi, perché in quei casi la concorrenza lascia qualche respiro in più. Ma in realtà la cosa che salta subito all’occhio è un’altra: qui le scarpe sono tutte di lusso ma sono tutte imbavagliate in un sacchetto di plastica trasparente simili a quello del pane precotto dei supermercati. Ed è come se la ricchezza dovesse avvolgersi nella povertà per diventare alla portata di tutti.

“Ma no” spiega una signora “l’hanno fatto, perché le altre volte, dopo la foga delle prime persone, rimaneva un campo di battaglia di scarpe spaiate”. Sarà, ma intanto il campo rimane comunque di battaglia. Nel giro di poco tempo, sono tanti i modelli abbandonati a terra, disseminati ovunque. Alcune clienti ingorde, come fossero uscite da una battuta di caccia, si portano via cinque o sei sacchetti alla volta, prima di cercar rifugio sulla prima sedia disponibile per provarle. Altre fanno la stessa operazione, anche in piedi, davanti a tutti, in mezzo alla moquette. Passa solo mezz’ora e ti accorgi che le cavallette, a confronto, avrebbero fatto una devastazione più gentile. Ma la guerra è guerra. E i saldi sono il modo migliore per perdere le buone maniere. Vale anche per questa corrazzata di Milf che spinte dal motto “pagare poco quello che ti fa valere molto” qui potrebbero invadere la Polonia da un momento all’altro.

Il resto, è solo sudore, trucchi che cedono e colpi bassi pronti a bypassare quel non-so-che di rispettabile che in tante vorrebbero tener su, ma senza riuscirci. Almeno fino al momento in cui, dopo essere passate alla cassa con il bottino raccolto, l’uscita da una porta secondaria dell’albergo diventa anche una ripresa della civiltà. Eccole lì, con le borse degli acquisti nelle mani, ricompaiono le signore Brambilla di sempre, quelle che incontri in qualsiasi città ogni sabato pomeriggio. E forse la maggiore inquietudine sta proprio lì, nel sentirsi rassicurati dal vedere le signore Brambilla tornare a essere signore Brambilla.
Qualcosa che tuttavia non annulla l’attrito con ciò che succede a pochi metri di distanza, dove c’è chi continua a rimanere in fila per entrare. Gente del posto, ma tantissime sono le persone arrivate da svariate città del Nord Italia e perfino spagnole, russe e giapponesi. Adesso c’è una donna con accento inglese che alza la voce e dice “ma com’è possibile? Non vedete che c’è una donna con un bambino?”. Ed effettivamente lì, in coda c’è una donna con un bambino in braccio che si fa piccola piccola, perché non gradisce il can can di quell’attenzione. Finché la donna con accento inglese non aggiunge “su dai, fatela passare avanti”. Sì, lì, è ancora guerra. Non a caso, prima le donne e i bambini. Per tornare normali, bisognerà passare per una svendita.

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